Il liceo Virgilio a Roma

La scuola, la droga e noi

Redazione
Lo spacciatore arrestato al Virgilio di Roma e le proteste dei genitori. Discutiamone

La mattina di martedì 22 marzo due poliziotti in borghese sono entrati nel cortile del liceo Virgilio di Roma, durante l’orario di ricreazione, e hanno fermato e portato via due ragazzi: un diciannovenne per lo spaccio e un quattordicenne per l’acquisto di un grammo e mezzo di hashish. Il primo si è scoperto poi avere precedenti di droga, nel 2013, quando era minorenne [1].

 

Subito si crea un’assemblea spontanea nel cortile di scuola, gli studenti chiedono conto del blitz alla preside e una parte di loro sale al piano superiore a protestare davanti all’ufficio della preside che, impaurita, si barrica nella stanza e ne esce solo scortata dai carabinieri [1].

 

Dell’episodio si danno due versioni. La preside sostiene che non era a conoscenza del blitz della polizia; che si è serrata nella vicepresidenza perché impaurita dall’assalto degli studenti; e che questi si erano accalcati davanti alla porta minacciando di sfondarla e urlando contro carabinieri e Digos. Gli studenti lamentano invece un trattamento violento da parte degli agenti in borghese, e degli altri agenti che, chiamati a difendere la preside, hanno spinto e strattonato gli studenti trattandoli come dei criminali [2].

 

Il Virgilio è un istituto storico nel centro di Roma, in via Giulia, storicamente molto politicizzato.1.400 studenti, molti figli di parlamentari e intellettuali [3].

 

Anna Maria Giarletta, professoressa di italiano, latino e storia, ha raccontato a Corrado Zunino che una situazione del genere non le era mai capitata, «eppure ho insegnato a Castellammare di Stabia, Angri, Pagani. Mica passeggiate. La verità è che qui dentro manca una regola, ogni tipo di regola. È un’abitudine, una sorta di tradizione del Virgilio, non può certo andare avanti. Entrare in classe alle otto, puntuali, non è la violazione di un diritto umano. A scuola nun sa’ da spaccia’» [4].

 

La preside, Irene Baldriga, sostiene che al Virgilio c’è un gruppo di genitori che «strumentalizza i figli magari per fare politica e farsi vedere. È una minoranza, ma molto agguerrita che sembra voler dare un’immagine distruttiva della scuola. Dimenticano che la scuola è un’istituzione pubblica: è la prima forma di Stato con cui si entra in contatto, abbiamo una responsabilità etica, dobbiamo insegnare legalità e rispetto delle regole» [5].

 

Francesca Valenza, rappresentante in Consiglio di istituto del Virgilio, ha detto a Viola Giannoli: «La repressione con gli adolescenti è controproducente. Più ce n’è, più si fa uso di droghe. Un blitz inutile, anzi dannoso». E ancora: «I ragazzi sono continuamente dipinti come criminali dalla preside e da alcuni prof. Questo messaggio torna indietro come un boomerang. Se le regole non passano per la condivisione diventano conflitto e antagonismo» [6].

 

Vito Bruno: «Ma davanti a fenomeni conclamati di spaccio – provati, neanche a dirlo, dall’irruzione dei Carabinieri – come dovrebbe comportarsi un professore o un preside? Facendo finta di niente? Intavolando un negoziato con gli spacciatori? Chiedendo loro cortesemente di andare a spacciare più in là? Qualcuno ha obiettato che in fondo lo studente-pusher vendeva solo hashish. Robetta, insomma. Ora, si può discutere se sia giusto o no depenalizzare le droghe leggere, ma finché la legislazione vigente è questa, tollerare la vendita della droga a scuola avrebbe significato né più e né meno che sdoganarla, tutta quanta, renderla legittima perché se davvero sopravvive un luogo sacro e legittimante all’interno delle istituzioni pubbliche questa è la scuola» [7].

 

Corrado Augias: «Valutando a spanne, immagino che ci sarà del torto e della ragione da tutte le parti. Penso anch’io che chiamare la forza pubblica in una scuola sia un gesto grave. Sicuramente è ancora più grave costringere una preside a chiudersi a chiave nella sua stanza mentre dei robusti giovanotti prendono a calci la porta urlandole di tutto; qui siamo al codice penale. Tanto più se alle spalle di quei giovanotti ci sono dei genitori che li incitano» [8].

 

Luca Garbini, insegnante di filosofia e storia al Virgilio, ha scritto a Christian Raimo, raccontando di «quel papà che tempo addietro è venuto a scuola in lacrime dopo aver scoperto che suo figlio non ancora quindicenne era stato socializzato all’uso di droghe proprio al Virgilio, durante quella fantastica e bellissima esplosione di partecipazione democratica che è stata l’occupazione. O ancora quella mamma che vedeva il figlio quindicenne strano, capace solo, al ritorno da scuola, di mettersi a letto a dormire, fingendo oscuri malesseri prima di confessarle la scoperta delle gioie della canna al Virgilio» [9].

 

E venerdì scorso, a tre settimane dall’accaduto, il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha telefonato alla preside Baldriga per mostrarle la propria solidarietà [10].

 

Adolfo Scotto di Luzio, docente di Storia delle istituzioni scolastiche all’Università di Bergamo: «Quello che sta accadendo a Roma, in questi giorni, al liceo Virgilio, non riguarda semplicemente il consumo di hashish tra gli adolescenti, ma è in realtà una disputa sulla scuola pubblica e sul suo destino. Se cioè questa scuola debba rassegnarsi a sprofondare nella più totale disorganizzazione o se invece essa sia autorizzata a riaffermare il proprio diritto a orientare moralmente e intellettualmente i giovani. A sentire certe madri fa più impressione il carabiniere che arresta lo spacciatore a scuola che lo spacciatore stesso preso a vendere hashish ai ragazzini durante l’ora di ricreazione» [11].

 

Un ragazzo su tre sotto i 15 anni ha provato una sostanza stupefacente, ha fatto sapere in questi giorni il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi. Mentre il 26% degli studenti del liceo farebbe uso non occasionale di cannabis [12].

 

Ancora Scotto di Luzio: «Non tutte le scuole sono uguali e con ogni evidenza non lo sono le famiglie che vi mandano i propri figli. In questi mesi episodi analoghi a quello del liceo romano sono accaduti in mezza Italia, da Ferrara a Carate Brianza, da Monza a Ravenna, a Macerata, a Pontedera. Nessuna di queste vicende tuttavia ha assunto il clamore mediatico dei fatti del Virgilio. Gli adolescenti di provincia continuano a rintronarsi di canne nei bagni di sperduti istituti professionali nel disinteresse generale. La posizione di dominanza delle famiglie di un prestigioso liceo della capitale, prossime alla politica, alla stampa quotidiana, alla televisione, ha fatto sì invece che a Roma la questione smarrisse ben presto i suoi termini reali per trasformarsi in un processo al preside sceriffo, colpevole di voler fare della scuola un bunker» [11].

 

Un mese fa, durante un controllo al liceo Bassi di Bologna, i carabinieri hanno trovato due grammi di hashish in un bagno. Anche lì, come al Virgilio di Roma, gli studenti non hanno gradito e protestato. E giovedì scorso a Tesero, Val di Fiemme (Trento), un 18enne è stato arrestato per aver spacciato droga ad un compagno di scuola minorenne. Il ragazzo è accusato di vendita di stupefacenti anche in altre scuole [12].

 

Christian Raimo si chiede: «Se l’uso di certe sostanze è tanto diffuso tra i ragazzi, siamo sicuri che criminalizzarli sia il disincentivo giusto? E siamo sicuri di non esporli in questo modo ai rischi ben maggiori di un uso non consapevole, spinto continuamente nella clandestinità?» [2].

 

Ma il tema centrale, per Davide Giacalone, è quello del principio d’autorità. «I viziati non sono i figli, ma i genitori. I primi sono, semmai, depredati del necessario confronto con il principio d’autorità. Da sfidare, da contrastare, perché questa è la storia del mondo, ma pur sempre da assorbire, per poi riprodurlo. Il contrario del principio d’autorità non è quello di libertà (che si conquista sfidandolo), ma d’incapacità a distinguere il buono dal cattivo, il bene dal male, il giusto dall’ingiusto. Si può sbagliare nel distinguere, ma mai rinunciare a distinguere. Quando i genitori e gli insegnanti si smidollano non producono sregolatezza, ma desiderio di autoritarismo» [13].

 

Guardando a quanto accaduto al liceo Virgilio si ha in ogni caso la conferma che insegnare di questi tempi è diventato un lavoro ingrato. Vito Bruno: «Con scarse risorse e pochi mezzi a disposizione, gli insegnanti fanno quello che possono. E se per una questione di ruolo è comprensibile a volte scontrarsi con gli studenti, i loro genitori no, dovrebbero essere sempre dalla loro parte. Anche affrontando a muso duro i propri figli che a volte, per pigrizia o debolezza, si tende colpevolmente a compiacere» [7].

 

(a cura di Luca D’Ammando)

Note: [1] Viola Giannoli e Sara Grattoggi, la Repubblica 23/3; [2] Christian Raimo, internazionale.it 25/3; [3] Claudia Voltattorni, Corriere della Sera 6/4; [4] Corrado Zunino, la Repubblica 31/3; [5] Claudia Voltattorni, Corriere della sera 7/4; [6] Viola Giannoli, la Repubblica 1/4; [7] Vito Bruno, Corriere della Sera 5/4; [8] Corrado Augias, la Repubblica 8/4; [9] Christian Raimo, internazionale.it 31/3; [10] Camilla Mozzetti, Il Messaggero 9/4; [11] Adolfo Scotto di Luzio, Corriere della Sera 8/4; [12] Claudia Voltattorni, Corriere della Sera 8/4; [13] Davide Giacalone, Libero 25/3.