Ezio Mauro con il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari

Come cambia il partito Repubblica

Redazione
L'addio di Mauro, l'arrivo di Calabresi, i dubbi di Scalfari (e l'atlantista Molinari alla Stampa). Dal saluto di Giuliano Ferrara a Mauro, ai retroscena sulle reazioni della redazione di Repubblica. Ecco tutto quello che abbiamo scritto in questi giorni.

Mercoledì 25 novembre 2015 Ezio Mauro ha annunciato le dimissioni dalla direzione di Repubblica a partire dal 14 gennaio 2016. Il Foglio è stato il primo giornale a dare la notizia. Il suo posto sarà preso da Mario Calabresi attuale direttore della Stampa (che sarà diretta da Maurizio Molinari).

 

Dal saluto di Giuliano Ferrara a Mauro, ai retroscena sulle reazioni della redazione di Repubblica. Ecco tutto quello che abbiamo scritto in questi giorni:

 


 

Ezio Mauro lascia Rep. Lo sostituirà Mario Calabresi

 

 

Ezio Mauro, direttore di La Repubblica, lascerà la direzione del quotidiano il 14 gennaio 2016. Lo ha annunciato oggi durante la riunione di redazione. A sostituirlo sarà Mario Calabresi, attualmente direttore della Stampa. [continua]

 


 

Quant'è difficile per Ezio Mauro lasciare Repubblica durante una guerra mondiale

di Adriano Sofri

 

Leggo – dal Bangladesh, dove sto viaggiando – che Ezio Mauro lascerà la direzione di Repubblica dal prossimo 14 gennaio. Sono contento per lui, che comincerà una terza delle sue sette vite nella forma migliore. Gli sarà un po' difficile, con la passione che lo anima, lasciare proprio durante una guerra mondiale. Ma troverà senz'altro un buon punto da cui partecipare. [continua]

 


 

Bravo Ezio Mauro, non sei il mio tipo ma hai fatto il tuo dovere

di Giuliano Ferrara

 

Sono contento che Ezio Mauro lasci la direzione di Repubblica. Contento prima di tutto per lui. Lasciare dopo vent’anni è un onore, un privilegio, una bonanza. Si ha tempo per fare la conta degli errori e delle azzeccature, profit and loss come dice il poeta. Mollare una responsabilità esecutiva, e senza moine fondazioniste, considerandosi allegramente a disposizione, in favore di gente più giovane, preparata, leale e agguerrita, è cosa buona e giusta. Mauro non è il mio tipo, nel senso che è un vero e colossale esempio di giornalismo, e io ho la vanità di considerarmi uno stronzo, un politico, un faccendiere del pensiero forte, ma non un cronista. Ma come sempre in caso di diversità, e di quelle talvolta acuminate, dolenti, perverse, Mauro è anche il mio tipo. [continua]

 


 

Spingendo Repubblica più in là. Congetture su un destino e un lavoro

di Maurizio Crippa

 

Perché scriva io di Mario Calabresi, cui ho stretto di sfuggita la mano un paio di volte, non saprei. Ma non è nemmeno essenziale spiegarlo. Si scrivono articoli sui protagonisti di importanti movimenti ai vertici dei giornali (lui è “figura di primo piano del nostro giornalismo, cresciuto all’interno di Repubblica, ove ha ricoperto i ruoli di caporedattore centrale e di corrispondente da New York”, nota del Gruppo L’Espresso). Si formulano congetture sulle scelte, sul futuro delle linee editoriali che conteranno qualcosa, forse, nel paese. Però ci sono occasioni in cui tutte queste cose si intrecciano – e si vorrebbe sfumarle per qualche istante in secondo piano, in dissolvenza – con le persone e con la loro storia, con le loro culture. E prima di congetturare si prova a spiegarsele, le persone e le storie. [continua]

 


 

Perché l’arrivo di Calabresi a Rep. fa dire a Scalfari: qui c’è un problema

di Leopoldo Mattei

 

L’altra sera Eugenio Scalfari è stato duro, durissimo nei suoi colloqui privati: “Dal 17 gennaio non scriverò più su Repubblica”, ha detto quando è stato informato, prima da Ezio Mauro e poi Da Carlo De Benedetti, che Mario Calabresi sarebbe andato a dirigere il giornale che lui aveva fondato il 14 gennaio 1976. In redazione, a Largo Fochetti, strabuzzano gli occhi, le parole “cambiamento epocale” vengono maneggiate da tutti, e qualcuno, senza cautela, maneggia anche questa espressione: “E’ la fine di Repubblica”. La Repubblica che tutti hanno conosciuto fino ad oggi. [continua]

 


 

“Vogliamo fondare un giornale”. Così è nato il Partito di Repubblica

di Maurizio Stefanini

 

“Vogliamo fondare un giornale, non un partito”, disse il 29 aprile 1955 un Eugenio Scalfari in cerca di finanziamenti ad Adriano Olivetti. Lo racconta Geno Pampaloni, commentando: “Era proprio Scalfari che parlava così. Lui che ha fatto della Repubblica uno straordinario esemplare di giornale partito”. In realtà tra il 1953 e il 1972 Scalfari fa anche diverse esperienze di politica partitica: dirigente della campagna elettorale del Pli, vicesegretario del Partito Radicale, deputato socialista tra il 1968 e il 1972. Ma ne parlerà come dei “quattro anni più frustranti della mia vita”. Quando dunque nel 1976 presenta Repubblica spiega subito: “Questo giornale è un poco diverso dagli altri: è un giornale d’informazione il quale anziché ostentare una illusoria neutralità politica, dichiara esplicitamente d’aver fatto una scelta di campo”, che però non coincide con i “campi” già esistenti. [continua]

 


 

Atlantista e bushista, così Molinari è arrivato alla direzione della Stampa

di Michele Masneri

 

Romano ma con etica e cravatte americane-torinesi, grande lavoratore, non proprio un burlone. Così Maurizio Molinari, nuovo direttore in pectore della Stampa.  Romano di Testaccio, middle class, cinquantuno anni da poco compiuti, una passione per la A.S. Roma, gli capita di scrivere di James Pallotta e il suo mito personale pare sia Agostino Di Bartolomei, capitano negli anni Settanta. Ha cominciato alla Voce Repubblicana; Stefano Folli ricorda con il Foglio di una classica “grande promessa, mandava dei pezzi da Gerusalemme dove studiava all’Università ebraica, già si capiva che era un esperto di relazioni internazionali”. Ebraismo e partito Repubblicano come punti di riferimento (“Nella Prima Repubblica se eri filoisraeliano era l’unica parte dove poter stare”, dice un osservatore, ma c’è anche una grande tradizione risorgimentale mazziniana-ebraica). [continua]


La mia Repubblica

di Salvatore Merlo

 

Il direttore di Repubblica è apparso all’improvviso, non saprei dire se da destra o da sinistra di via San Teodoro, cinquanta metri dalla Bocca della verità. E adesso mi guarda come si guarda un piatto di minestra fredda. E’ la seconda volta che ci incontriamo, ma lui comprensibilmente non lo ricorda. [continua]