Il “modello Milano” tra narrazione un po' furba e molta normalità

Maurizio Crippa
Nessun marziano. Solo un po' di società civile e di orgoglio ritrovato

Milano. “Non mi piace parlare di un modello di Milano da esportare, di un modello che si cala così dall’alto. Bisogna prendere il meglio di tutta questa esperienza e adattarla a una realtà che è diversa”. Così il prefetto del capoluogo lombardo Francesco Paolo Tronca, da ieri ufficialmente commissario straordinario per il comune di Roma. Per Tronca “sarebbe presuntuoso adottare schemi a contesti diversi”. Tronca è un civil servant, mentre Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme, è un politico. Perciò, annunciando la scelta del governo di trasferire il prefetto di Milano nella capitale, Boschi aveva detto: “Noi crediamo che il successo del modello Expo valga anche per Roma, per il Giubileo. Per questo abbiamo chiamato il prefetto di Milano: sarà occasione di rilancio per Roma sotto tutti i punti di vista”.

 

Il “modello Milano” è il nuovo mantra vincente dell’Italia che cambia verso, e nessuno, nemmeno nel centrodestra, nemmeno tra gli opinionisti della grande stampa, su questo ha da ridire. Però, come tutti gli slogan troppo orecchiabili, è meglio decrittarlo nei suoi molti significati. Ad esempio per Travaglio, sul Fatto di domenica, il Tronca promosso a salvatore di Roma ha dei peccatucci, neanche lievi nell’ottica di Travaglio, tipo che “usò un’auto e un’autista destinati al soccorso antincendi per far scarrozzare all’Olimpico suo figlio e un amichetto”. La visione panottica del Fatto è al solito un po’ ristretta, vede il dettaglio ma trascura l’insieme. Che Tronca a Milano abbia gestito un vertice Asean da 20 capi di stato, e un Expo in cui gli unici fastidi sono venuti dai Black bloc, vale più di un biglietto Roma-Inter.

 

Poi c’è il “modello Milano” made in Cantone, quello della nuova “capitale morale”. E siccome non è sempre necessario dare torto a Travaglio, si può contestare a Raffaele Cantone, capo dell’Anticorruzione, la retorica di una partenogenesi morale tutta da verificare, e agevolata dal buon uso preventivo degli schiavettoni. Che Milano sia diventata tutt’a un tratto una città “crime free” è un azzardo statistico, quantomeno. Ma non si può, con Travaglio e con gli ultimi irriducibili dell’Expo-disastro, sostenere che a Milano non sia successo niente, e niente di buono. E’ stato costretto a riconoscerlo anche Gian Antonio Stella, un po’ a chiappe strette, sul milanesissimo Corriere della Sera che per anni, al pari o poco meno di Repubblica e del Fatto, ha condotto una robusta campagna “qui finisce tutto a schifìo”. Salvo ricredersi. Non è stato così. Se il Giubileo funzionasse, anche solo per i mezzi pubblici, la metà di come ha funzionato Expo, sarebbe un trionfo.

 

Il problema del modello Cantone – con la sua retorica moraleggiante che odora un po’ troppo di repubblica dei magistrati e di tutela tribunalizia applicata a un ceto politico inaffidabile – da cui discende il modello Boschi, sta in altro. Ed è che al momento Milano è soprattutto una narrazione politica funzionale al renzismo. Perché Matteo Renzi ha disperatamente bisogno di intestarsi Milano, e di non perderla alle elezioni, e soprattutto di usare il nuovo immaginario tirato a lucido della metropoli lombarda come traino per il resto dell’Italia, non solo a Roma ma anche negli altri luoghi e capoluoghi in cui le cose, per il Pd, vanno decisamente meno bene. A Milano Renzi è venuto molte volte, negli ultimi mesi. Ne ha fatto una scommessa del governo, vinta. A proposito della nomina di Tronca ha anche lui ribadito, in sintonia con Boschi, che “abbiamo scelto il modello Expo perché così come è stato fatto questo evento sarà fatto il Giubileo. Che sarà l’Expo per Roma, perché dobbiamo dimostrare che si possono fare le cose bene anche nella capitale, alla faccia di chi ci diceva pure che l’Expo sarebbe stato un fallimento”. E, comunque vada, non saranno quattro untorelli del Comitato di Salute pubblica a “spiantare Milano”, per dirla con Manzoni.

 

[**Video_box_2**]Dopodiché, messe da parte per un attimo le narrazioni più funzionali al caos di Roma che alla realtà meneghina, bisognerebbe chiedersi se il modello Milano esista davvero, e cosa sia. Anche per rendersi conto che non si tratta di una nuova civiltà dei marziani da far atterrare qua e là con i dischi volanti. Expo ha avuto e ha prodotto anche i suoi pasticci, meglio non negare i fatti. Però, nelle amministrazioni che si sono susseguite negli ultimi anni – non bisogna fingere che la “rivoluzione” sia iniziata otto mesi fa, con l’atterraggio di Cantone –, e non solo in comune, Milano ha dimostrato che si può gestire in modo razionale, e più che sufficiente, la cosa pubblica anche nei meandri delle leggi e delle burocrazie vigenti. Che si possono mettere in atto “buone pratiche”, come le ha chiamate il prefetto Tronca; che un minimo sindacale di collaborazione tra le parti politiche tiene lontano gli starnazzi dell’antipolitica (sembra che Grillo non abbia più molto da dire, contro Expo). E che questo è possibile con un minimo di decoro, grazie a un tessuto economico dinamico che addirittura, a volte, funziona da solo, senza aspettare per forza la mano pubblica. Si chiama società civile, non sempre è una parolaccia (gli ultimi tre sindaci di Milano vengono dalla società civile). Poi un po’ d’orgoglio ritrovato, un po’ di buon umore percepito. Ma non sarà mica un’esclusiva di Milano, o no?

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"