Una veduta della chiesa di Don Bosco a Roma

Quei soliti ignoti di Don Bosco

Maurizio Stefanini
La gioventù trascorsa sotto il colonnato della chiesa, con il suo ‘Cine pidocchio’ e il campetto di basket. E che oggi è teatro del funerale truzzo del boss Casamonica. Un racconto autobiografico negli anni delle contraddizioni, tra centro e periferia, tra comunisti e democristiani.

C’è chi la sera andava a Via Veneto, io il pomeriggio andavo a Don Bosco. Dunque, mi fa un po’ impressione come, con la storia del funerale piuttosto truzzo al boss Vittorio Casamonica, tutti i media del mondo parlano ora di quelle architetture vagamente metafisiche della chiesa di Gaetano Rapisardi. Quei colonnati bianchi che all’allievo di Piacentini erano stati forse ispirati dai quadri di De Chirico, e che per noi furono a lungo scenario di noia infinita. Ma già “Una giornata uggiosa” era un disco che Lucio Battisti avrebbe fatto di lì a qualche anno. Non c’era Internet, allora…

 

In realtà, come residenza, io appartenevo a San Policarpo, altra parrocchia dalla struttura architettonica modernizzante, il cui esagono grigio è d’altronde quasi contemporaneo. Tra il 1952 e il 1964 fu fatta Don Bosco; tra il 1964 e il 1967 San Policarpo. Viale Giulio Agricola e Viale Marco Fulvio Nobiliore è il doppio nome della lunga via alle cui estremità le due chiese si fronteggiano, con a metà strada la fermata della linea A della Metro. Io a San Policarpo ho fatto la cresima con Don Guerino, colui che oggi è Monsignor Guerino Di Tora, vescovo ausiliare. Ma poi ero andato al liceo a Frascati. All’epoca degli anni di piombo anche la tranquillità della provincia aveva un suo pregio e prima che facessero la metropolitana da dove abitavo si arrivava prima a Frascati che agli istituti “romani”. È vero che a ogni assemblea volavano le sedie ma, insomma, sempre meglio le sedie che le pallottole. Metà della classe veniva proprio dall’estremità sud-est di Roma; questa metà, a sua volta, era ulteriormente divisa tra chi stava nella parrocchia di San Policarpo e chi in quella di Don Bosco.

 

Don Bosco, indubbiamente, era più attrezzata. Anche se il suo cinemino nel quartiere lo chiamavano ‘Cine Pidocchio’, per quanto erano attempati i film che proiettavano. Il cemento dei suoi campetti da calcio e da basket non era propriamente la miglior cura per le ossa dei giocatori, soprattutto in quei ferocissimi scontri tra Pgs Don Bosco e Basket Frascati, che per noi erano un particolarissimo derby. Ma poi c’era il fatto che i preti di San Policarpo erano “comunisti”, sostanzialmente anticipatori di quella che è ora la linea Bergoglio. Politica a parte, il risultato erano alcune prediche che la particolare situazione sociale di quegli anni rendeva interminabili, portando la durata della messa domenicale pericolosamente vicino all’ora e mezza. Così, si finiva per dirottare sulla concorrenza, sulla chiesa più vicina, che sbrigava tutto entro i tre quarti d’ora, anche meno. Curiosamente, però, nella “rossa” San Policarpo i catechisti restavano democristiani. Ne ricordo uno che andava a scuola con noi, anche se in un’altra classe, e che riuscì finalmente a farsi eleggere consigliere circoscrizionale nel 1993, proprio in extremis, prima che lo scudo crociato smobilitasse. Al contrario, Don Bosco faceva dirottare a sinistra. C’era un altro compagno di classe che era un almirantiano di ferro. Era l’unico che in edicola comprava Il Secolo d’Italia, era stato uno dei primi a fare collezione delle canzoni di Amici del Vento e Compagnia dell’Anello. Unica trasgressione: pur giudicando Rauti “un comunista”, comprava alla Libreria Europa. Ma essendo più bravo di me a calcio e basket finì con l’allenare i ragazzini a Don Bosco, e di lì fu rimbalzato a scrivere di sociale su giornaletti di quartiere, a trovare lavoro nel Pci, a candidarsi con i Verdi, e così via. Adesso sta a Rai New 24, e si occupa di musica. Credo che sia entrato in quota Rifondazione, ma comunque la sua pagina Facebook è tutta un inno a Carlo Giuliani.

 

[**Video_box_2**]Io comunque a Don Bosco avevo smesso di andarci. Fu fondamentale quel giorno in cui decidemmo di smetterla di passare i nostri pomeriggi là. Allora ci mettemmo a fare passeggiate senza meta, durante le quali finivamo anche per parlare di cose profonde. Alla fine, però, ci ritrovammo di nuovo davanti alla porta dell’oratorio, perché è lì che i nostri piedi ci avevano portato in modo quasi automatica. Fu  un segnale inquietante, che mi convinse sull’utilità di cambiare perfino le compagnie. Ci sono però tornato qualche anno fa ad ascoltare l’orchestrina delle scuole medie dei miei figli che lì si esibivano. Devo dire che l’ex “Cine Pidocchio” mi fece una buonissima impressione, con film recenti e una bellissima collezione di strumenti musicali. Col tempo ho anche scoperto che quello che a noi sembrava uno dei posti più dimenticati era invece una location conosciuta in tutto il mondo, per le innumerevoli volte che era stata utilizzata come scenario di Cinecittà. Pure Fellini contrabbandò Don Bosco per l’Eur nella Dolce Vita. Ma pure nel finale dell’Audace colpo dei soliti ignoti la valigia coi soldi è abbandonata in quell’inconfondibile colonnato. Appunto, quello stesso colonnato dove ora la banda di Frascati ha suonato per Casamonica Il Padrino. Frascati, Don Bosco: sic transit gloria mundi.      

Di più su questi argomenti: