Uomini della polizia italiana a Ventimiglia (foto LaPresse)

L'idea di Pianosa piace a chi lavora tutti i giorni con sbarchi e migranti

Cristina Giudici
Per capire davvero la proposta del Foglio – da un’idea di Massimo Nava sul Corriere della Sera – di creare un hub umanitario nella ex isola carcere di Pianosa (“la nostra Ellis Island”), serve una premessa. A ogni sbarco sulle nostre coste, la maggior parte dei migranti-profughi rifiuta di essere fotosegnalata.

Milano. Per capire davvero la proposta del Foglio – da un’idea di Massimo Nava sul Corriere della Sera – di creare un hub umanitario nella ex isola carcere di Pianosa (“la nostra Ellis Island”), serve una premessa. A ogni sbarco sulle nostre coste, la maggior parte dei migranti-profughi rifiuta di essere fotosegnalata. Non vogliono essere costretti a restare in Italia, come prevede il regolamento di Dublino. E i poliziotti – che devono decidere chi va rimpatriato, chi accolto, chi fermato perché scafista o trafficante di esseri umani – non possono identificarli in modo coatto. Perciò si conosce solo in minima parte l’identità di coloro che sbarcano e transitano per il nostro paese (solo dall’inizio del 2015, 55 mila persone). Inoltre nei porti siciliani accade spesso che gruppi numerosi tentino la fuga e scompaiano, letteralmente, per poi affidarsi a reti criminali che li aiutano a raggiungere le loro mete: prima Milano e poi il nord Europa. Se non fuggono dai porti, una volta arrivati nei centri di accoglienza, vanno via il giorno dopo il loro arrivo. A Bruxelles si possono incaponire, sospendere la libera circolazione di Schengen, immaginare di creare muri per respingere l’esodo, ma è inutile.

 

Davanti a questo flusso diventato ingovernabile, chi sta in trincea in Sicilia – mentre l’Europa si limita a potenziare i mezzi per i salvataggi, ma guarda con sospetto l’eventualità di distribuire i profughi secondo quote prestabilite – comincia a trovare interessante la nostra “opzione P”, l’idea di un hub sotto controllo da creare a Pianosa. Un campo profughi affidato alla piena responsabilità italiana, ma finanziato dall’Europa, in grado di accogliere, identificare, smistare, rEdistribuire e nel caso (molti casi) rimpatriare i profughi. Idea interessante, ci dicono, anche solo come provocazione politica verso  i governi europei. Come spiega al Foglio Francesco Paolo Giordano, procuratore capo di Siracusa, dove dal gennaio del 2015 sono sbarcati oltre 10 mila migranti. “Io non so se l’opzione Pianosa sia praticabile, ma sono convinto che si debba trovare una soluzione alle criticità dell’accoglienza e dello smistamento dei profughi. Io sono un tecnico, quindi non posso entrare nel merito di scelte che spettano al governo”, osserva con prudenza, “ma siccome noi non possiamo identificarli tutti, a meno di violare i loro diritti umani, si può e si deve trovare un’opzione alternativa. Se l’idea di Pianosa può servire per suscitare una discussione seria, sia come provocazione sia come strumento di pressione verso i governi dell’Unione europea, per trovare una strategia che ci aiuti a governare con più efficacia l’esodo, sono favorevole”. La tiepida apertura del procuratore capo di Siracusa viene rafforzata dal sostituto commissario Carlo Parini, coordinatore del Gicic, il Gruppo interforze per il contrasto all’immigrazione clandestina creato nel 2006 dalla procura di Siracusa per fornire ai magistrati dati e informazioni sui flussi migratori, sulle rotte dei trafficanti e per fermare gli scafisti.

 

[**Video_box_2**] Per lui, che come tutti i poliziotti operativi nei porti siciliani ogni giorno deve affrontare a mani nude un nuovo sbarco, la creazione di una sorta di Ellis Island del Terzo millennio, gestita dal Viminale, aiuterebbe a dominare il caos: “Dobbiamo trovare un modus operandi per accogliere con umanità chi scappa da guerre e persecuzioni, ma senza dimenticare che dobbiamo garantire anche sicurezza e legalità ai cittadini. Accolgo volentieri qualsiasi contributo che ci aiuti a combattere meglio il traffico degli esseri umani”, commenta. Il commissario della squadra mobile di Ragusa, Antonino Ciavola, anche lui in balìa degli sbarchi nel porto di Pozzallo, è invece scettico: “Mi pare più concreta l’eventualità di modificare le norme nazionali sull’immigrazione e creare un permesso temporaneo che obblighino gli altri paesi europei ad accogliere i profughi”. Inaspettatamente, chi accoglie senza riserve l’opzione Pianosa è un sociologo dell’Università Cattolica di Milano, esperto dell’inscindibile connubio immigrazione-sicurezza, Marco Lombardi: “Dobbiamo avere un approccio razionale e ribaltare la valenza simbolica negativa evocata da Ellis Island. L’isola fa riemergere l’idea scabrosa del confino, ma si può creare un hub umanitario che aiuti a controllare e verificare le caratteristiche di questo esodo, che può celare problemi gravi di sicurezza. L’Unione europea non accetterà mai la ripartizione delle quote. Perciò io sposo l’opzione Pianosa, senza se e senza ma”.

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