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Ci son due coccodrilli e un orango tango… Sembra Kusturica, è Tbilisi

Marianna Rizzini
Il coccodrillo spiaggiato tra le macchine. L’ippopotamo che cammina placido davanti al codazzo di pedoni armati di dardo con sonnifero. L’orso infangato che non riesce a muoversi e quello che si arrampica sul condizionatore d’aria al primo piano. I fantasmi dello zoo dopo l’inondazione, tra cinema e paura

Il coccodrillo spiaggiato tra le macchine. L’ippopotamo che cammina placido davanti al codazzo di pedoni armati di dardo con sonnifero. L’orso infangato che non riesce a muoversi e quello che si arrampica sul condizionatore d’aria al primo piano – e pare il quadro di un pittore pazzo a tema “natura&cultura”. E poi il leone di notte a bordo carreggiata, e quello di giorno che ti guarda con gli occhi visti cento volte nelle foto degli amici fissati coi safari. Il diluvio è universale, ma lo scenario che appare nelle immagini provenienti da Tbilisi, nella Georgia colpita da inondazione biblica, è da Arca di Noè alla rovescia: le gabbie dello zoo non reggono l’urto dell’acqua ma gli animali non se ne vanno via in barca, arrivano direttamente a casa tua – e addirittura, dice un notiziario che fa la contabilità delle fiere “disperse e potenzialmente ancora in giro”, c’è un branco di lupi che “assedia l’ospedale pediatrico”, altro involontario indizio di apocalisse, ma non desertica e spettrale come quella de “La Strada” di Cormac McCarthy. Apocalisse popolatissima, questa, di animali e umani insieme, con gli umani disabituati anche soltanto a pensarla, la natura, tanto che non sembrano neanche così orripilati, e quasi quasi si scattano il famoso selfie.

 

Stupore, infatti, infinito stupore si legge nello sguardo dei passanti dopo l’inondazione-scherzo del destino che arriva là dove la cultura non s’impiccia: liberare le belve, le tigri, i giaguari e gli orsi tutti in un colpo, vivi e morti, carcasse sparse tra carcasse (ma di automobili e camionette). Vent’anni fa l’aveva girata Emir Kusturica, questa scena, in “Underground”, con sottofondo tzigano firmato Goran Bregovic, ed era la versione surreale del bombardamento nazista di Belgrado, col povero custode zoppo dello zoo che vede il terrore negli occhi degli animali prima di terrorizzarsi a sua volta, e a quel punto se ne va incredulo con un piccolo scimpanzé in braccio, senza curarsi della tigre che sbrana l’oca non più protetta (legge di natura, anche sotto le bombe), mentre l’elefante incede beato tra le macerie come l’ippopotamo di Tbilisi davanti al negozio Swatch, facendo spesa di oggetti sul davanzale. La guerra e lo zoo: un topos, ormai, con lo zoo di Gaza che nel 2014, in pieno fuoco incrociato, cedeva animali a uno zoo in Giordania (seguendo anche geometrie politiche?) e con lo zoo di Baghdad che, nel 2009, diventava famoso per il “boom di nascite”, forse in armonia con la sperata, momentanea rinascita della città. E in giorni di Nato in Yugoslavia, nel 1999, i cronisti dal fronte narravano l’incredibile ma vera storia dei custodi dello zoo di Belgrado (sempre quello), costretti da ordine superiore ad abbattere gli animali in caso di raid aereo, per evitare fughe belluine tra le case. Ma nessuna bomba spiega l’irrompere della natura a Tbilisi, ché il deus ex machina è un temporale (le autorità intanto dicono di chiudersi in casa: i lupi superstiti sciamano non si sa dove, pare, fantasmi o realtà non fa differenza).

 

[**Video_box_2**]Gli animali in cattività, scrive l’etologo Danilo Mainardi sul Corriere della Sera, sono “meno attrezzati” di fronte alla paura. E però il leone che ti arriva sotto casa è talmente impensabile, abituati come si è a ragionare in termini di legge umana persino con le giraffe (quella dello zoo di Copenaghen, l’anno scorso, è stata squartata davanti ai visitatori “perché figlia di due esemplari tra loro parenti”) che si fatica a vederla, la paura. Paura degli animali come degli uomini che avanzano in fila, tipo “Quarto stato”, dietro all’ippopotamo stordito. Siamo a Tbilisi, ma potremmo essere dentro “Jumanji”, il film con il gioco da tavolo stregato (reciti un indovinello e compaiono i coccodrilli in salotto). Ma anche a Roma l’autunno scorso, quando un marabù fuggito dal Bioparco si è messo a volare ad ali spiegate sopra i tetti del quartiere Prati. Si pensò a un avvoltoio, a un’aquila, più prosaicamente a un gabbiano gigante dei camion bar, in fuga dai Fori pedonalizzati del sindaco Marino. E il colmo era che pareva di averla già vista, l’immagine incongrua del grande volatile esotico in città. E però non era natura: erano i fenicotteri de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.