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Europa e spera

Redazione
Sull’immigrazione l’Ue si smuove, ma l’Italia dismetta il fatalismo. Di fronte all’aggravarsi dell’instabilità della Libia, e più in generale confrontandosi con un nuovo flusso di disperati dalla sponda meridionale del Mediterraneo che pare strabordare a nord delle Alpi, nel Vecchio continente si inizia a ragionare su una soluzione comune.

"Immigrazione: l’Italia sollecita una strategia comune dei Dodici. De Michelis pone al vertice Cee la questione dei visti e dei controlli alle frontiere”. Così titolava, nel 1990, un importante quotidiano italiano riportando le notizie da Bruxelles. Della questione “visti e controlli” per come la poneva l’Italia, però, se ne fece poco o nulla. Tredici anni dopo, nel 2003, ministro dell’Interno Beppe Pisanu, stesso approccio del governo italiano e stessa alzata di spalle da quella che nel frattempo era diventata l’Unione europea. Nel 2015, sarà bene non ripetere lo schema consueto. Da anni, durante i talk-show o nei comizi elettorali, la politica italiana si carica a molla discettando di quanto Bruxelles dovrebbe fare e invece non fa, oppure del fatto che ciascun paese membro dell’Ue dovrebbe accettare la sua quota di richiedenti asilo, salvo poi recarsi ai vertici europei e tornare con poco o nulla in mano.

 

Finalmente in queste ore, di fronte all’aggravarsi dell’instabilità della Libia, e più in generale confrontandosi con un nuovo flusso di disperati dalla sponda meridionale del Mediterraneo che pare strabordare a nord delle Alpi, nel Vecchio continente si inizia a ragionare su una soluzione comune. Addirittura con il coinvolgimento dell’Onu per stabilizzare la situazione in Libia. Oggi poi, sul tavolo della Commissione Ue, arriverà la cosiddetta Agenda Juncker sull’immigrazione: si prevede di rafforzare le operazioni di salvataggio in mare (riavvicinandosi alla soluzione pasticciata di Mare Nostrum), di rendere più agguerrito il contrasto alle organizzazioni di trafficanti di esseri umani, di consolidare le relazioni con i paesi di origine e transito dei flussi migratori e – questa sì un’apparente novità – di distribuire i rifugiati già presenti in Europa oltre che i nuovi richiedenti asilo. Sui princìpi tutti d’accordo, ci mancherebbe, ma poi nel Consiglio Ue che dovrà approvare definitivamente questo pacchetto peseranno di più i diversi tipi di veto di alcuni stati. Il governo italiano, prima di celebrare svolte simboliche sulla redistribuzione pro quota dei rifugiati, farà bene nelle prossime settimane a evitare forme di eccessivo “commissariamento” nella fase di screening delle richieste d’asilo, ricordando per esempio che allo stato attuale Roma non sarà magari la più generosa in assoluto in termini di richieste di asilo accettate ma – per forza di cose, vista la sua collocazione geografica – si confronta con transito e attesa degli immigrati appena sbarcati. Più in generale, ancora non si vede un governo italiano consapevole che l’immigrazione tutto è fuorché un’emergenza: entro il 2060, ha fatto sapere ieri la Commissione, nel nostro paese ci sarà il flusso più alto di immigrazione netta di tutto il continente, con 15,5 milioni di ingressi previsti. Il prossimo che la chiama “emergenza” o che invoca “l’Europa” è in cerca di alibi.   

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