Il razzismo profondo di certi film pol. corr., buoni solo per sturare i canali lacrimali

Mariarosa Mancuso
Annunciato come “un film che vi farà sentire bene” (specialità francese, sanno come sbancare i botteghini), “La famiglia Bélier” è uscito questa settimana in sala con un bel contorno di polemiche. Quando i sordomuti usano il linguaggio dei segni, gli spettatori udenti godono dei sottotitoli per capire cosa succede (e come ci si insulta, con gesti più raffinati di quelli che usiamo di solito).

I sordomuti sono irritati dai sordomuti che si sbracciano oltremisura, fa eccezione l’unico attore davvero sordomuto nel cast: si chiama Luca Gelberg, il figlio giovinetto della famiglia Bélier. Gli tocca, per i collezionisti e i compilatori di antologie, una delle più disastrose scene cinematografiche da primo approccio. Con la scusa di insegnarle il linguaggio dei segni, e di sentire in cambio le vibrazioni della voce, è riuscito a mettere le mani addosso alla ragazza dei suoi sogni (per placare le signore di “Se non ora quando”, va detto che la scena è tenerissima). Purtroppo il giovanotto è allergico al lattice dei preservativi, appena se lo infila bisogna chiamare l’ambulanza. I genitori – gli attori Karin Viard e François Damien – hanno imparato la lingua dei segni per l’occasione, quindi esagerano come lo studente all’esame (francamente, non è un bello spettacolo).

 

Annunciato come “un film che vi farà sentire bene” (specialità francese, sanno come sbancare i botteghini), “La famiglia Bélier” è uscito questa settimana in sala con un bel contorno di polemiche. Quando i sordomuti usano il linguaggio dei segni, gli spettatori udenti godono dei sottotitoli per capire cosa succede (e come ci si insulta, con gesti più raffinati di quelli che usiamo di solito). Quando parlano i personaggi non sordomuti – la figlia Paula, dotata di voce celestiale e il professore di canto che intende mandarla a Parigi per un provino di Radio France – nessuno si preoccupa di loro. Avevamo il sospetto che il film usasse i sordomuti per commuovere i non sordomuti, la musica e le canzoni d’amore e il cinguettìo degli uccelli vanno a colpo sicuro quando serve la lacrimuccia, e dopo la lacrimuccia il lieto fine. Ora abbiamo la certezza.

 

I non sordomuti sono irritati da un ritratto di famiglia francese contadina e casearia – producono formaggi da vendere al mercato – che pare uscita dal bozzetto per un calendario agricolo. Felici, anche a bordo del trattore, combattenti contro il sindaco che si vende i terreni (in giro c’è parecchia campagna, a giudicare dalle immagini, e allora si sorvola sul fatto che il culto della terra e del paesaggio l’hanno solo i gitanti domenicali con i cestello del picnic o i compratori di rustici).

 

[**Video_box_2**]Gli spettatori che pagano il biglietto per sturare i canali lacrimali – non per sentirsi raccontare una storia come fanno tutti – devono sapere che la bionda Louane Emera, vale a dire la figlia adolescente Paula, è stata lanciata in Francia da un talent show. Se fosse successo in Italia, sarebbero stati strilli e disperazione: attori contro cantanti che rubano il lavoro, lo strapotere della tv, a noi che siamo usciti dall’accademia di arte drammatica non ci vuole più nessuno, film da cancellare, altro che commuoversi. Per gli altri, bisognerebbe mettere un cartello: tutte le canzoni di questo film sono di Michel Sardou, cantate dal coro della scuola oppure in duetto, dalla bionda e da un ricciolino che l’ha spinta verso le lezioni di canto. Ora sapete tutto, e noi decliniamo ogni responsabilità.

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