Connessi si cresce. Consigli a Renzi per evitare gravi errori sulla banda larga

Stefano Parisi

Che l’Italia sia in ritardo rispetto agli obiettivi dell’Agenda digitale europea è noto. E’ in grave ritardo nella digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche, è in grave ritardo nella penetrazione delle connessioni internet tra le famiglie e tra le imprese, pochi usano internet per fare acquisti.

Al direttore,

 

Che l’Italia sia in ritardo rispetto agli obiettivi dell’Agenda digitale europea è noto.  E’ in grave ritardo nella digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche, è in grave ritardo nella penetrazione delle connessioni internet tra le famiglie e tra le imprese, pochi usano internet per fare acquisti, quasi nessuno per accedere ai servizi pubblici, ancora pochi lo usano per l’home banking.  Il ritardo si registrerà anche sullo sviluppo della banda ultra larga.  Solo pochi anni fa la rete in fibra italiana rappresentava il 40 per cento di tutte le reti in fibra europee. E non era la rete di Telecom Italia. Poi è successo che gli investimenti hanno rallentato, è iniziata una fortissima concorrenza tra operatori in un mercato senza crescita.  Così il risultato è stato una forte riduzione dei prezzi, dei margini per le imprese e sempre meno risorse per fare investimenti. A questo si aggiunge il pesante debito di Telecom Italia che non le ha permesso di darsi una strategia di investimenti lungimirante. La situazione è stata poi aggravata dal quadro regolatorio e politico.  Telecom Italia e i suoi azionisti italiani sono diventati il malato da salvare. La forte lobby fatta dai vertici di quell’azienda ha indotto l’Autorità delle comunicazioni ad aumentare a dismisura la profittabilità del rame, danneggiando gli operatori alternativi e azzerando la pur debole propensione dell’operatore dominante a investire nelle reti di nuova generazione. Non parliamo poi della retorica dell’“internet gratis per tutti” che abbiamo sentito da parte di molti politici, dando la chiara percezione che internet gratuito è un diritto.  Senza spiegare il costo di quegli investimenti e la necessità di creare una condizione di mercato favorevole a sviluppare quegli investimenti. Internet gratis? Niente internet! Tutto questo tempestato da infuocate fasi di discussione e polemiche sulla proprietà della rete di Telecom Italia, proposte di modifica della legge sull’Opa, minacce di leggi ed espropri, tutto finito nel nulla. 

 

Anche a livello locale abbiamo avuto a che vedere con piani per la banda larga regionali, che hanno avuto alterne vicende.  Ricordo che la regione Lombardia tentò un piano molto dirigista che riuscì nel miracolo di far mettere d’accordo tutti gli operatori tlc: tutti d’accordo contro il piano. 

 

Forse sarebbe ora di mettere a punto qualche idea coerente, per evitare di finire un’altra volta in un nulla di fatto.  Cosa che veramente ormai non possiamo più permetterci.  Il nostro ritardo rispetto agli obiettivi dell’Agenda 2020 è quasi incolmabile.  E il nostro ritardo ha un drammatico impatto sulla crescita, sull’occupazione giovanile, sulla riduzione dei costi del sistema pubblico, sulla produttività del sistema economico.

 

Non è tanto una partita tra il rame e la fibra ma tra lo sviluppo e la modernizzazione del paese e il drammatico status quo. Dunque un piano per la banda larga non può non tenere conto del contesto di mercato debole, senza crescita. Il primo impulso deve urgentemente esser dato dalla trasformazione della Pa.  Questo è il vero switch off da fare. 

 

[**Video_box_2**]Qualunque politica di sostegno agli investimenti senza crescita del mercato è un fallimento sicuro. Questa volta sì: il pubblico può avere un ruolo fondamentale, generando qualità di servizi indispensabili alla vita degli italiani.

 

Vi sono poi altri due importanti punti di attenzione che devono essere posti sul provvedimento del governo. Abbiamo scampato il pericolo dello switch off dal rame alla fibra.  Sembra singolare il fatto che l’ipotesi non solo sia stata presa in considerazione, sia circolata e addirittura sia stata difesa. Come se qualcuno a Palazzo Chigi potesse decidere dove si fermerà l’evoluzione di una tecnologia oggi oggetto di studio dei principali centri di ricerca del mondo sulle telecomunicazioni.

 

Scampato questo pericolo bisogna anche evitare che lo stesso spirito dirigista porti lo stato a imporre le scelte tecnologiche alle aziende private che operano sul mercato libero. Sarebbe davvero singolare se il governo imponesse, senza avere la responsabilità che i manager delle aziende hanno verso i loro azionisti e i loro clienti, la tecnologia da utilizzare in Italia per le reti di nuova generazione. Non entro nelle differenze tecnologiche tra Ftth e Fttc ma pongo una questione sui limiti d’influenza della politica e dello stato sui mercati. Tanto più in un mercato regolato da autorità indipendenti la cui autonomia sarebbe brutalmente vulnerata da una simile decisione. Tanto più in una situazione di conflitto d’interessi palese essendo lo stato indirettamente azionista di una azienda locale che sviluppa appunto una di queste tecnologie. 

 

Speriamo che le polemiche e gli annunci letti sui giornali con grande enfasi in questi giorni finiscano e che il piano per la banda larga del governo sia accompagnato da un disegno di sviluppo intelligente, che aiuti l’Italia a crescere, e che liberi le migliori forze del mercato.