Ragioni per non fidarsi troppo della banda (larga) Telecom

Alberto Brambilla

L’enfasi di Renzi sugli investimenti digitali risveglia i liberisti. La forzatura del governo alla luce del passato.

Roma. Il governo ha dato una certa enfasi programmatica alla modernizzazione della infrastruttura della rete telefonica manifestando l’intenzione di forzare il passaggio totale dalla rete in rame alla banda ultralarga fino alla porta di casa trovando la resistenza di Telecom, diretta interessata dopo anni di flemma sul dossier.

 

Il piano governativo sarà svelato oggi nei dettagli ma sono bastate le linee generali, secondo indiscrezioni di stampa, a risvegliare istinti liberisti che sembravano sopiti nei grandi giornali d’establishment, dal Sole 24 Ore al Corriere della Sera. Così ieri il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, ha precisato: “Non ci sono ipotesi di spegnimenti arbitrari di rete o quant’altro, abbiamo immagino un piano che serva agli investimenti degli operatori non il contrario”.

 

L’idea di forzare Telecom a chiudere con la rete in rame e sostituirla in toto con la fibra ottica, compreso l’ultimo miglio, era stata bollata come “dirigista”, un “ricatto contro il mercato”. La lettura politica privilegia la versione della “ritorsione” verso i manager della compagnia telefonica visto il rifiuto di entrare nell’azionariato di Metroweb, società della rete in fibra concentrata su Milano, alle condizioni della Cassa depositi e prestiti che la controlla. Le critiche non sono del tutto peregrine, considerato che la rete in rame è pur sempre un asset di una società privata (e quotata).

 

Molti osservatori avvertono non pochi rischi nell’imposizione di uno standard tecnologico dall’alto, anche perché esso potrà essere superato in futuro. Il progetto Socrate di Telecom, anno domini 1995, prevedeva di portare la fibra in casa ma venne abbandonato perché la compressione dei dati su cavi di rame è arrivata a superare l’handicap della lentezza di trasmissione grazie all’avvento dell’Adsl, oggi molto diffusa e sufficiente all’uso quotidiano dell’utente, come vedere un film online. Bt (inglese) e Deutsche Telekom (tedesca) si sono fermate alla fibra ottica fino al cabinet sulla strada – come vorrebbe Telecom – per arrivare a incontrare gli standard europei di trasmissione rapida (100 mega o più) grazie a nuovi potenziatori in fase di lancio di Alcatel e Huawei. Lo stesso fanno in Italia Fastweb e pure Telecom, principali operatori della banda larga in azione.

 

Il governo ha tratteggiato una strategia radicale superando un ampio ventaglio di possibilità intermedie – forzatura analoga alla trasformazione delle banche popolari in Spa imposta per decreto – per due ordini di ragioni. La prima: Renzi conserva l’ambizione di permettere ai cittadini di “fare tutto online” o via telefono e arrivare a una Pubblica amministrazione 2.0. Un paese cablato a trasmissione rapida con un digital divide azzerato e un egovernment efficiente che per ora si vede solo nei piccoli paesi baltici o scandinavi.

 

La seconda ragione: Telecom Italia ha traccheggiato per vent’anni sull’ammodernamento della rete e solo con il piano 2015-17 formulato dall’amministratore delegato Marco Patuano – il primo manager libero dalle greppie del patto di sindacato Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo, ormai sciolto, e dalle pressioni dell’azionista spagnolo Telefonica – propone di investire 3 miliardi sulla fibra nel triennio, con un incremento di 1,1 miliardi di euro rispetto al piano precedente. Telecom dunque paga forse gli errori passati agli occhi del governo. La privatizzazione e le successive acquisizioni fatte a debito; e inoltre un debito che si è trasmesso da Roberto Colaninno a Marco Tronchetti fino a Franco Bernabè e che ha imbrigliato la società. L’ospite indesiderato pesa 26 miliardi di euro, il dimagrimento è in corso. Le operazioni di presunto efficientamento (made by Bernabè) non hanno ridotto il fardello ma si sono tradotte in uno svilimento della ricerca in sviluppo creando una compagnia meno competitiva; preda più che predatore nel consolidamento delle tlc. Minore stazza significa meno investimenti. La rete è strategica in quanto asset tangibile a garanzia del debito che Telecom gestisce da monopolista con gli onori, gli oneri e gli eccessi che ciò comporta (fresca multa Antitrust per abuso di posizione dominante).

 

Le diffidenze governative per quanto “dirigiste” si basano su valide ragioni storiche, pratiche e attuali è da vedere.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.