I fiori posti davanti al caffè Krudttonden di Copenaghen

“Non cederemo alla sharia”

Giulio Meotti

Parlano le scrittrici scampate alla strage nel caffé di Copenaghen, Agnieska Kolek e Helle Brix. In Danimarca tira un’aria di sospetto e di paura. Il governo ha imposto la chiusura di Radio Shalom, l’emittente ebraica della capitale danese, e della scuola Caroline. “Motivi di sicurezza”. Non era mai successo nella storia della comunità ebraica danese.

Roma. “Sono nata in Polonia, dove i comunisti controllavano la radio, allora molto popolare, per influenzare la popolazione. La sottomissione al comunismo avvenne attraverso l’indebolimento delle persone. Oggi l’islamismo fa lo stesso attraverso la paura”. A parlare così al Foglio è l’artista polacca Agnieska Kolek, che il giorno dell’attentato al caffè Krudttonden di Copenaghen sedeva al fianco del vignettista Lars Vilks. “Ero al fianco di Vilks e usavamo lo stesso computer. Quando hanno iniziato a sparare, mi sono gettata a terra, ero la più vicina alla porta di ingresso. Così ho sentito il terrorista gridare ‘Allah Akbar’”. A Copenaghen tira un’aria di sospetto e di paura. Il governo ha imposto la chiusura di Radio Shalom, l’emittente ebraica della capitale danese, e della scuola Caroline. “Motivi di sicurezza”. Non era mai successo nella storia della comunità ebraica danese. Ieri un sospetto pacco bomba è stato recapitato alla redazione del quotidiano svedese Nerikes Allehanda, il giornale che ha pubblicato le vignette di Vilks.

 

Fra gli scrittori, chi di più ha la sensazione di essere davvero una sopravvissuta è Helle Brix. E’ stata lei, scrittrice e giornalista danese, a organizzare il convegno su arte, islam e blasfemia dentro al caffè Krudttonden. E’ stata Helle Brix a fondare il “Vilks Committee”, per aiutare l’artista svedese da giorni diventato un fantasma. C’era lei con Vilks dentro la stanza refrigerante del caffé preso d’assalto dai terroristi islamici.

 

L’associazione della Brix a ottobre aveva assegnato un premio al settimanale Charlie Hebdo. Tre mesi prima della strage di Parigi. C’è paura adesso fra i partecipanti alle riunioni di quell’associazione presa di mira dai terroristi, come l’artista spagnolo Abdel Azcona, gli artisti danesi Kristian von Hornsleth e Bjørn Nørgaard, il giornalista Iben Foss, la scrittrice Kristina Stoltz, e fra chi ha fondato l’associazione, come l’artista Uwe Max Jensen, l’attore Farshad Kholgi, il giornalista ed editore Niels Ivar Larsen e il sociologo Jaleh Tavakoli.

 

“Ero molto nervosa nell’ultimo mese, specie dopo l’attacco a Charlie Hebdo”, racconta Helle Brix al Foglio. “A ottobre il nostro comitato aveva assegnato un premio all’attuale direttore della rivista francese. Avevamo già avuto sette incontri, quindi perché non fidarsi? Il prossimo incontro pubblico, in autunno, dovremo però farlo dentro al Parlamento di Copenaghen. Sono molto triste perché una persona è appena morta durante un dibattito e un’altra alla sinagoga. Ho ancora i brividi. Sono andata al memoriale il lunedì sera, seppure per poco tempo. Il suono emesso da quelle trentamila persone che applaudivano mi ricordava troppo gli spari. Detto questo, voglio continuare la mia routine, in questi giorni sto ancora lavorando normalmente e mi sento bene”.

 

La scrittrice danese Helle Brix è comunque ottimista: “Ho visto la solidarietà e la risposta che c’è stata a Copenaghen. La libertà di espressione è il cuore della civiltà occidentale, se cediamo su questo sarà la fine. Non è questione di destra o di sinistra, nel nostro comitato di sette personalità ci sono anche due artisti di sinistra. Io credo che fino a quando un paese non viene colpito, fino a quando non succede qualcosa di concreto, non reagisce. E’ orribile da dire, ma a volte sembra che questo sia necessario per far capire alla gente la gravità del problema qui in Europa. Tuttavia, sappiamo tutti molto bene che la questione ora non è se questo accadrà di nuovo altrove in Europa, ma dove e come si verificherà”.

 

E’ riapparso in televisione anche l’ex redattore culturale capo del Jyllands Posten, Flemming Rose, dopo anni di silenzio, e ha scelto di parlare di come si rifiuta di essere relegato in un silenzio di tomba. “Il terrore vuole intimidire tutti”, prosegue Brix. “E’ come nel romanzo ‘La svolta’ di Klaus Mann, il clima che si respirava prima dell’avvento al potere di Hitler. Nel libro vi è una descrizione di una riunione in cui la sorella di Klaus Erika, che è un’attrice, recita una poesia contro la guerra. I nazisti in sala alzarono i manganelli. Un’altra volta Erika descrive la stampa nazista come un uomo senza testa. Perché non si può parlare di una società libera, se non siamo in grado di sfidare qualsiasi dogma. Anche l’islam”. Eppure c’è chi vi chiede di essere più prudenti, di non provocare, di abbandonare l’arte blasfema: “Se dobbiamo abbandonare le vignette, allora gli ebrei dovrebbero smettere anche di andare in sinagoga? Questa è la logica della capitolazione. Non c’è soluzione di mezzo fra sharia e democrazia”.

 

[**Video_box_2**]L’artista polacca Agnieska Kolek la pone in questi termini: “L’occidente è libertà di espressione”, dice al Foglio. “L’alternativa sono le frustate in Arabia Saudita al blogger Badawi. In Europa c’è una avanguardia di musulmani che vuole imporre, parola per parola, la loro idea di società, attraverso la paura e le pallottole. E’ una guerra iniziata con Salman Rushdie. Il problema è che il multiculturalismo aiuta questi fanatici considerandoli vittime, dei poveretti, mentre i loro leader fanno il lavaggio del cervello ai giovani, li ghettizzano, li segregano. Due settimane fa, a Londra, di fronte a Dawning Street c’è stata una manifestazione contro Charlie Hebdo. E’ questa la loro idea di democrazia. Un cartello diceva ‘la democrazia è un cancro’. Non ho dubbi che si debba continuare, per me, per la mia famiglia, per le nuove generazioni. Perché se è facilissimo perdere la libertà, è persino più difficile riottenerla”. L’Europa ha già tentato la via dell’appeasement. Hitler era al potere in Germania quando nel 1933 un vignettista danese di nome Hans Bendix realizzò delle caricature sul Führer e il nazismo, profetizzando la distruzione dell’Europa. La Danimarca allora chiese di fermare queste vignette satiriche e minacciò Bendix di licenziamento da un giornale socialdemocratico. Di lì a poco, mai sazia di capitolazioni, la Germania invase Copenaghen.

 

E per spiegare il proprio impegno nella Resistenza, Jean Cavaillès diceva di preferire Paris-Soir al Völkische Beobachter. Chissà se domani, anziché Charlie Hebdo, non dovremo leggere al Ahram.  

Di più su questi argomenti:
  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.