Un'immagine dei bombardamenti egiziani in Libia, nei pressi di Derna

Chi c'è e chi non c'è nella “coalition of the willing” di Sisi

Daniele Raineri

Per ora di stati che hanno la volontà di un intervento militare in Libia contro lo Stato islamico non se ne vedono molti

Roma. Oggi il Consiglio di sicurezza si riunisce a New York con una sessione d’emergenza per parlare della crisi di sicurezza in Libia. Come sta andando la costruzione di una “Coalition of the willing” da parte del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi per intervenire in Libia con una missione più articolata dei bombardamenti punitivi in corso? Per ora di stati willing, che hanno la volontà di un intervento militare, non se ne vedono molti. Egitto, Italia e Francia sono idealmente in prima fila e hanno già fatto dichiarazioni pubbliche – ma il Cairo e Parigi non parlano di truppe di terra.

 

La Russia ha spedito il suo inviato speciale nei paesi arabi, Mikhail Bogdanov (uno dei massimi esperti mondiali di questioni mediorientali) a incontrare un delegato del primo ministro libico Abdullah al Thinni per garantire sostegno incondizionato nella “lotta senza compromessi contro il terrorismo islamico”. Il presidente russo Vladimir Putin e Sisi si sono da poco incontrati al Cairo e hanno esibito grande affinità personale (Mosca critica le operazioni militari a guida americana in Siria e Iraq contro lo Stato islamico e le definisce “illegittime”). Il primo ministro inglese, David Cameron, lunedì ha fatto una lunga telefonata con Sisi ma per ora non si è sbilanciato, come del resto gli Stati Uniti, che trattano bene l’Egitto con aiuti militari molto generosi e però considerano la stabilità in Libia un dossier di cui è meglio che se ne occupino gli italiani.

 

I due paesi vicini sulla sponda sud che osservano con attenzione estrema l’evolversi della situazione sono Tunisia e Algeria. A Tunisi il portavoce del ministero degli Esteri, Mokhtar Chaouachi, dice che il governo “comprende la decisione dell’Egitto di rivolgersi alle Nazioni Unite per intervenire in Libia… decideremo su una risoluzione Onu quando sarà proposta”. Ad Algeri il governo tace, ma si sa che i rapporti con l’Egitto non sono buoni e che il paese è impegnato in una fase di transizione delicata, forse si sta per chiudere un’epoca politica. Va anche considerato che l’Algeria ha già i suoi problemi con i gruppi estremisti e che la Tunisia ha visto un numero altissimo di volontari partire per andare a combattere con lo Stato islamico e quindi c’è attendismo discreto da parte di entrambi i paesi, temono di eccitare l’iniziativa dei jihadisti di casa.

 

[**Video_box_2**]Contro l’intervento internazionale c’è il governo libico di Tripoli, da distinguersi da quello di Tobruk che gode di maggiore credito internazionale. Il primo ministro di Tripoli, Omar al Hassi, definisce i bombardamenti egiziani “un atto di tradimento e di terrorismo, in violazione della sovranità nazionale libica e della legge internazionale”. Anche il suo sponsor esterno, il governo del Qatar (nemico di Sisi) è contrario all’intervento, anche se non ha fatto dichiarazioni ufficiali – ma la posizione si capisce dal notiziario di al Jazeera, che insiste sulle vittime civili dei bombardamenti nella città libica di Derna, e ieri c’era polemica sull’autenticità o meno delle immagini mostrate dal canale satellitare.

 

La posizione del Qatar complica la decisione francese, sospesa tra due poli, Doha e il Cairo. Alla fine di dicembre il ministro della Difesa, Jean-Yves le Drian, era andato in visita al cosiddetto “dispositivo di sicurezza Berkane,” nel Sahel, e aveva parlato della necessità di un intervento militare nel sud della Libia. L’Eliseo aveva subito troncato la questione, e forse c’entrano gli ottimi rapporti del governo con il Qatar. Lunedì Parigi e il Cairo hanno firmato un accordo per l’acquisto di caccia Rafale e di una fregata da quasi 7 miliardi di dollari.

 

“Libici prigionieri delle milizie”

 

Ieri Sisi ha parlato alla radio francese  Europe 1 per chiedere una risoluzione delle Nazioni Unite che crei il mandato necessario a un intervento, dopo che domenica sera lo Stato islamico aveva messo su internet il video di un massacro rituale di cristiani su una spiaggia vicino Sirte. “Non c’è altra scelta, dobbiamo prendere in considerazione l’appello del governo libico e il consenso del popolo libico, ci chiedono di fare qualcosa. Sisi ieri ha detto anche, sempre alla radio, che la missione Nato del 2011 “non è stata completata” e che “abbiamo abbandonato i libici come prigionieri delle milizie estremiste”.

 

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)