Michele Ferrero

Segreti del genio della Nutella. Cosa insegna (anche agli imprenditori italiani) la storia di Ferrero

Stefano Cingolani

Michele Ferrero, scomparso sabato all'età di novant'anni, era un campione assoluto del capitalismo e non solo di quello italiano. Uno gli ultimi grandi che hanno ricostruito l'Italia dopo la guerra e l'hanno trasformata nel decimo paese industriale del mondo.

Michele Ferrero, scomparso sabato all'età di novant'anni, era un campione assoluto del capitalismo e non solo di quello italiano. Uno gli ultimi grandi che hanno ricostruito l'Italia dopo la guerra e l'hanno trasformata nel decimo paese industriale del mondo. Dopo di loro, dopo quelli che furono i leoni, i gattopardi, non ci sono le iene come voleva l'aristocratico pessimismo di Tommasi di Lampedusa, ma certo c'è una fauna diversa che si trova a sopravvivere in una foresta più grande, più intricata, piena di piante e animali esotici, per lo più sconosciuti. Anche la Ferrero, che pure in questi anni ha superato brillantemente la Grande recessione, si è trovata di fronte al dilemma se lasciare i noccioleti albesi, per impugnare il machete e aprirsi un sentiero tra le liane.

 

L'occasione si è presentata cinque anni fa con Cadbury seconda al mondo nei dolciumi dopo Mars: si trattava di lanciare un'offerta d'acquisto del gruppo inglese, insieme all'americana Hershey, sfidando il colosso Kraft. La Ferrero si sarebbe indebitata, ma sarebbe entrata nell'olimpo, con tutti i rischi, soprattutto quello di perdere il controllo. La famiglia si è divisa per la prima volta su strategie di fondo, da una parte i figli dall'altra il patriarca (con la mamma Maria Franca a fare da paciere). Alla fine ha vinto il fondatore al quale nessuno poteva dire di no, e la scalata al re del cioccolato anglosassone è abortita.

 

Della leggenda di Michele Ferrero, d'altra parte, fanno parte le radici locali, così come il sospetto che lo ha sempre tenuto lontano dalla borsa e la gestione personale di un gruppo che, con 8 miliardi di fatturato, ha una dimensione mondiale. La famiglia è tra le più ricche d'Italia, il marchio (e non solo grazie a Nutella) è tra i più apprezzati al mondo e tuttavia la Ferrero, se messa a confronto con i veri colossi, resta una multinazionale tascabile. I suoi punti di forza (il solido controllo proprietario, il mitico riserbo, la buona gestione, i pochi debiti, l'ingegnosità nel trattare un materiale di per sé semplice, povero persino) rischiano di trasformarsi in punti di debolezza se, un po' come avviene nelle sue fabbriche di cioccolato, viene a mancare uno soltanto dei fantastici ingredienti. Anche in questo campo l'innovazione non si può fermare e richiede ingenti risorse, per non parlare della pubblicità, del marketing, della distribuzione, tutto quello che oggi rappresenta la parte principale in una industria moderna.

 

[**Video_box_2**]Michele si era ritirato a Montecarlo, ma voleva che la testa e il corpo principale restassero a Alba. Era il patron che stava negli impianti insieme agli operai, sceglieva di persona chimici e venditori, curava ogni dettaglio, assaggiava ogni prodotto e trovava gli espedienti più fantasiosi per testarlo sul mercato (come il supermarket individuato addirittura in Lussemburgo dove si concentravano i gusti del consumatore medio europeo). Tra le sue battute da antologia c'è "mi raccomando pochi laureati, pì a studiu pì ven stupid", una massima alla quale ha tenuto fede restando ragioniere e rifiutando le laurea ad honorem sparse a man bassa da università affamate di quattrini. Parco e misurato, ha sposato la segretaria, ha costruito un rapporto paternalistico con i dipendenti (come tanti della sua generazione) e non si è sottratto nemmeno a un altro stereotipo: quello di esportare i capitali.

 

Molto religioso e devoto alla Madonna di Lourdes, conservatore in politica ("il socialismo lo faccio io", diceva) corteggiato persino dagli Agnelli, amico di Berlusconi (senza condividere il suo ingresso in politica), ha lasciato le redini operative ai due figli, Pietro e Giovanni quando ormai era chiaro che la sua salite non gli consentiva di operare (una malattia agli occhi lo aveva reso quasi cieco). Nel 2011 Pietro è morto d'infarto in Sudafrica e per Michele è stato un colpo di maglio. Adesso la successione è nelle mani di Giovanni, 51 anni, in azienda da sempre. Nella storia del capitalismo è successo molto raramente che, scomparso l'imprenditore-innovatore, l'archetipo schumpeteriano, tutto sia rimasto come prima. E anche l'Italia familista non sfugge alla regola. Una volta i tempi di reazione erano più lenti, impiegavano spesso un'intera generazione. Oggi, il turbocapitalismo è in grado di aspettare?

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