Il leader dell'Ukip, Nigel Farage

Perché il bluff dell'Uomo qualunque funziona alle elezioni

Maurizio Stefanini

Da Kejriwal in India a Podemos in Spagna. Breve rassegna dell’antipolitica che vince e non sa poi che fare

Roma. Nome: l’Uomo qualunque. Sì: proprio come quello di Guglielmo Giannini. Simbolo: una scopa. Sì: proprio come il Partido ortodoxo di Eduardo Chibás. In compenso, gli appena 49 giorni che è riuscito a governare la prima volta che ne ha avuta l’occasione ci danno un quadro di ancora maggiore incapacità politica che non i pur contestatissimi De Magistris, Pizzarotti, Pisapia o Doria. Ma poco importa. A Nuova Delhi l’Aam Aadmi Party di Arvind Kejriwal ha vinto ancora. La sua, in teoria, è una storia molto indiana. Un guru che a colpi di scioperi della fame mobilita masse enormi di simpatizzanti su un nobile obiettivo morale, e poi rompe con un seguace che si ostina a voler trasformare quella lotta metapolitica in un partito vero e proprio. Ma Mohandas Karamchand Gandhi detto Mahatma, “la grande anima”, declinava in chiave indiana l’epopea della lotta anti colonialista contro gli inglesi. Mentre il suo seguace Jawaharlal Nehru, che invece di sciogliere il Congresso nazionale indiano una volta ottenuta l’indipendenza volle trasformarlo in una macchina elettorale per mantenere al potere sé e i suoi discendenti, fu uno dei leader di quel grande fenomeno geopolitico chiamato Non allineamento. Baburao Hazare detto Anna, “Fratello maggiore”, il 79enne attivista marathi che nel 2011 guidò la rivolta del ceto medio indiano proprio contro il potere del Congresso, è stato sì ribattezzato “il nuovo Gandhi”. Ma la sua battaglia per costringere il governo federale ad accettare l’istituzione di una rete di ombudsmen e i suoi slogan sulla necessità di “impiccare i corrotti” piuttosto che il Mahatma richiamano Grillo.

 

Solo, che appunto, anche lui ha subìto la ribellione del sessantottino Arvind Kejriwal. Sessantottino, nel senso che l’ex ispettore del fisco fondatore dell’Aam Aadmi Party è nato proprio nel 1968. Vincitore nel dicembre del 2013 delle elezioni al National Capital Territory di Delhi, il 28 dicembre è diventato Chief minister. Ma lo è rimasto solo fino al 14 febbraio 2014, quando si è dimesso. Per protesta contro l’ostruzionismo degli altri partiti alla legislazione anti corruzione che il suo esecutivo di minoranza cercava di far passare. Ma a un anno di distanza si è tornati alle urne, e stavolta ha preso una buona maggioranza. Malgrado il Bjp del primo ministro Narendra Modi avesse candidato un altro ex leader del movimento di Anna Hazare: la ex direttrice generale della polizia Kiran Bedi. Una poliziotta e un agente delle tasse: quasi la declinazione locale dell’Italia dei valori del pm Di Pietro, degli Arancioni del pm De Magistris o di Rivoluzione civile del pm Ingroia. Ma ha vinto l’agente delle tasse: forse perché a parte la lotta alle mazzette ha promesso anche bollette basse e wifi gratis. Un altro punto qualificante dei suoi programmi è il no ai supermercati stranieri, il cui ingresso in India fu reso possibile dalla liberalizzazione del 2012. Ma più importante ancora è la retorica del rapporto diretto con gli elettori, in nome della quale è arrivato a chiedere scusa per le dimissioni del 2014. “Vi abbiamo consultato, cittadini di Delhi, su ogni decisione che dovevamo prendere. Il nostro errore è stato non rivolgerci a voi prima di dimetterci”. E qui siamo ormai arrivati all’Uno vale uno e ai meetup. Se dunque il nome e il simbolo del partito con cui l’ondata mondiale di antipolitica è approdata nella democrazia più grande del mondo richiamano a due alfa archetipici del fenomeno, un’omega che sembrava inevitabile non è poi stata tale. Un segnale che l’antipolitica non può in realtà morire mai, ed è destinata in perpetuo a rinascere dalla sue ceneri, come la mitologica fenice?

 

Il Fronte dell’uomo qualunque di Guglielmo Giannini, simbolo l’omino sotto un torchio che gli spremeva monete e sudore, durò in effetti solo tre anni, dal 1946 al 1949. Cinque, se contiamo dalla fondazione del “giornale dell’uomo qualunque, stufo di tutti, il cui solo, ardente desiderio, è che nessuno gli rompa le scatole”, attorno a cui il movimento si coagulò. Cinque, proprio come le stelle di Grillo, erano anche i punti programmatici: lotta al comunismo; lotta al capitalismo della grande industria; propugnazione del liberismo economico individuale; limitazione del prelievo fiscale; negazione della presenza dello stato nella vita sociale del paese. E il progetto costituzionale era quello di “un buon ragioniere che entri in carica il primo gennaio e se ne vada il 31 dicembre. E non sia rieleggibile per nessuna ragione”. La scopa del Partito del popolo cubano (ortodosso) di Eduardo Chibás era invece un simbolo di pulizia anti corruzione. Appunto, come la scopa dell’Aam Aadmi Party, ma anche le “Mani pulite” di Antonio Di Pietro. O To Potámi, in greco “il fiume”. Movimento politico fondato nel 2014 dal giornalista televisivo Stavros Theodorakis. O Lavalas, in creolo haitiano l’alluvione che nelle bidonville spazza via le immondizie. Il partito fondato dal prete della liberazione Jean-Bertrand Aristide nel 1996. “Vergüenza contra dinero”, “Prometemos no robar”, erano gli slogan di Chibás. Anche il suo partito durò solo cinque anni dal 1947 al 1952. Giannini, brillante commediografo napoletano, finì per commettere suicidio politico, col predicare l’equidistanza tra blocco occidentale e orientale nel momento in cui si annunciava il grande scontro di civiltà del 1948. Chibás, tribunizio oratore radiofonico, finì per commettere suicidio fisico, sparandosi in diretta il 16 agosto 1951. Aveva accusato il ministero dell’Educazione di malversazione, non era riuscito a dimostrarlo, e si uccise dopo aver spiegato che “neanche Galileo aveva potuto presentare prove fisiche di un fatto evidente”. Solo politico ma in diretta fu il suicidio di Antonio Di Pietro, affondato dal programma della Gabanelli. Mentre Aristide è stato via via eletto presidente, cacciato da un golpe, riportato al potere dagli Stati Uniti, di nuovo eletto, di nuovo cacciato da un’insurrezione armata.

 

A Cuba il governo contestato da Chibás sarebbe stato abbattuto l’anno dopo il suo suicidio dal colpo di stato di Fulgencio Batista. Ma un dirigente della gioventù ortodossa di nome Fidel Castro avrebbe iniziato un percorso di lotta armata che lo avrebbe portato al potere, e a proclamare il primo stato comunista delle Americhe. L’antipolitica è infatti un elemento che riesce spesso a fare reazione con gli agenti più diversi, e in America latina si è variamente combinata sia col caudillismo, sia con gli avanzi del marxismo, sia con l’indigenismo. In proporzioni diverse, per cui il cubano Fidel Castro è stato soprattutto marxismo; il venezuelano Hugo Chávez soprattutto caudillo; il boliviano Evo Morales soprattutto indigenismo; l’ecuadoriano Rafael Correa soprattutto antipolitica. E poi c’è lo spagnolo Podemos, che attraverso il movimento degli Indignati rappresenta il ponte tra l’antipolitica caudillista di sinistra latino-americana e un’antipolitica di sinistra europea che si colloca come estrema erede del ’68, attraverso l’ecologismo e il movimento no global. Con Podemos, c’è anche la Syriza di Tsipras. Syriza ha appena vinto le elezioni in Grecia, Podemos è in testa ai sondaggi in Spagna.

 

Ma non c’è solo l’antipolitica di sinistra. Appunto per questo, su 28 paesi membri dell’Unione europea, in almeno 9 c’è un movimento dell’antipolitica che o è arrivato primo alle ultime politiche, o è arrivato primo alle ultime europee, o è in questo momento primo nei sondaggi. In tre casi si tratta appunto di un partito dell’antipolitica di sinistra: con Podemos e Syriza, c’è infatti il Sinn Féin di Gerry Adams, che è attualmente in testa ai sondaggi in Irlanda. Qual è la caratteristica dell’antipolitica di sinistra? Sostanzialmente, che contesta la corruzione e la casta, ma ritiene che un forte ruolo dello stato vada mantenuto, per assicurare la redistribuzione. Sul piano opposto c’è il versante antipolitica-liberista: appunto, come era l’Uomo qualunque di Giannini, che per far morire di fame la casta voleva ridurre lo stato al minimo. Dopo l’Italia, ma con un più accentuato aspetto anti fisco ci fu in Francia il libraio Pierre Poujade, che nel 1953 creò un’Unione per la difesa dei commercianti e degli artigiani, in reazione alla legge con cui il governo di Pierre Mendès France non solo istituiva un nuovo tipo di controlli fiscali, ma prevedeva anche il carcere per ogni tipo di ostruzionismo. Presentatosi alle elezioni del 1956 con l’etichetta di Unione e fraternità francese, prese 2,4 milioni di voti e 52 deputati: compreso un 27enne bretone di nome Jean-Marie Le Pen. Ma sarebbe poi sparito nel 1958.

 

Meno effimera è la storia dei partiti anti fiscali che appaiono in Scandinavia negli anni Settanta, per contestare la pesante fiscalità che le socialdemocrazie nordiche hanno introdotto per finanziare un welfare state dalla culla alla tomba. Un pioniere fu il Partito del Progresso danese, fondato nel 1972 da Mogens Glistrup: un fiscalista autore di manuali bestseller su come non pagare le tasse la cui lettura avrebbe fatto prendere un infarto ad almeno un ministro delle Finanze, e il cui stile è esemplificato dalla famosa proposta di abbattere la spesa militare sostituendo le Forze armate con un disco contenente una dichiarazione di resa in russo. L’anno dopo fu riprodotto dal Partito del progresso norvegese, fondato da Anders Lange: un ex partigiano e allevatore di cani, che aveva iniziato a tuonare contro il fisco appunto dalle pagine di una rivista di allevatori che aveva fondato. Secondo partito dopo i laburisti nel 1997-2001 e di nuovo dal 2005 al 2013, alle ultime elezioni il Partito del progresso norvegese è retrocesso al terzo posto, ma per la prima volta è diventato un partito di governo, in coalizione con i conservatori. Il Partito del progresso danese, invece, è precipitato nell’insignificanza dopo che nel 2001 una rivolta contro Glistrup produsse la scissione del Partito del popolo danese. Ma è appunto questo partito che alle ultime europee è arrivato al primo posto. Non è mai stato al governo, ma tra 2001 e 2011 ha appoggiato quelli di coalizione tra liberali e conservatori, ispirando una politica sugli immigrati che è tra le più restrittive dell’Ue. Gli aspetti anti immigrazione e anti Ue sono più importanti nei partiti antipolitica che sono nati in Finlandia e in Svezia. Addirittura i Veri finlandesi di Timo Soini, terzo partito alle ultime politiche con il 19,05 per cento, sono un partito anti casta, anti euro e anti immigrati, ma non anti tasse.

 

Ma partiti del genere non stanno solo in Scandinavia. Molto simile è quel partito svizzero il cui nome in tedesco e romancio suona come Partito popolare svizzero mentre in francese e italiano si definisce Unione democratica di centro. In realtà si tratta di un antico partito a base contadina, da sempre presente nelle coalizioni di governo. Ma dal 1979 con l’arrivo alla leadership dell’industriale chimico Christoph Blocher ha iniziato a spostarsi più a destra in particolare con campagne contro l’immigrazione e il multiculturalismo: con notevole successo, visto che da quarto partito svizzero è arrivato al primo posto. Ovviamente in un paese dove le tasse sono minime l’aspetto anti fiscale non è molto importante, ma un forte liberismo fa comunque parte del Dna del partito. In questo senso il Partito popolare svizzero-Unione democratica di centro fa da ponte tra i partiti anti fiscali scandinavi e quello che è definito come Partito liberale austriaco ma il cui nome tradotto è piuttosto Partito libertario austriaco (Fpö).

 

[**Video_box_2**]Ma con l’Fpö siamo scivolati su un terzo livello: i partiti dell’antipolitica ancorati a un’idea di stato forte di destra. Fuori d’Europa, due partiti che assomigliano molto a questo modello sono l’australiano One nation di Paulina Hansen e New Zealand first di Winston Peters, che però a parte la somiglianza delle posizioni anti casta e anti immigrati hanno avuto anche una storia molto differente. In Europa, il partito con cui l’Fpö ha stabilito il miglior legame è il Fronte nazionale di Marine Le Pen: prima lista francese alle ultime europee. In questo gruppo possiamo mettere anche il Partito per l’indipendenza del Regno Unito (Ukip) fondato nel 1993 dall’ex conservatore Nigel Farage e che è stato il primo partito britannico alle ultime europee, anche se è un po’ più liberista e anti tasse del Fronte nazionale. E il Partito per la libertà olandese fondato nel 2006 da Geert Wilders dopo essere uscito dal Partito liberale, e il cui obiettivo polemico principale è però l’islam: nei sondaggi primo partito dei Paesi Bassi. E l’Alternativa per la Germania, movimento anti euro fondato il 6 febbraio del 2013, e che nelle elezioni regionali veleggia ormai a livelli tra il 9 e il 13 per cento. E la Lega italiana nella nuova versione salviniana, e quell’N-Va fiamminga ormai primo partito del Belgio. Ma proprio per il nazionalismo si tratta poi di movimenti che tra di loro finiscono per avere difficoltà di comunicazione. Alternativa per la Germania, Partito popolare danese e Veri finlandesi al Parlamento europeo preferiscono infatti stare con quei conservatori di Cameron contestati dall’Ukip, che però non vuole avere a che fare con l’“antisemita” Fronte nazionale, che a sua volta dialoga con Salvini ma guarda con orrore i “fascisti” balcanici tipo la greca Alba dorata, l’ungherese Jobbik o il bulgaro Ataka.

 

Con l’Ukip stanno invece a Strasburgo i Cinque stelle di Grillo, alle ultime politiche primo partito italiano. Ma è una scelta che ha lasciato perplessi molti tra gli stessi militanti, secondo i quali il MoVimento assomiglierebbe piuttosto ai Podemos. Non a Syriza: se non altro per il legame che ha stabilito con Vendola. A parte l’anti casta, nel grillismo c’è però una componente utopistica che non solo vuole fare la guerra ai corrotti o presunti tali, ma cerca un nuovo modello di democrazia. E c’è pure quel già citato stile di sbeffeggiamento dei politici, in cui il comico Beppe Grillo si pone effettivamente come l’erede diretto del commediografo Giannini. Il primo aspetto dà pure un netto stacco rispetto a Farage o alla Le Pen, e invece riporta a Chávez. Il secondo aspetto, annuncia altri comici che stanno sbarcando in politica. Dal Tiririca al Congresso brasiliano, al Lagrimita in Messico, al Dieudonné che ha fondato un partito in Francia, a quel Russell Brand che già ha intrapreso il percorso per diventare il Grillo inglese.

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