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Lampedusa, danza macabra

Alessandro Giuli

Le ragioni umanitarie, le obiezioni politiche e la tentazione degli sciacalli. Chi vuole lucrare sull’ecatombe di Lampedusa? I quattrini sonanti, lo sappiamo, se li intascano i carrettieri della morte, quei moderni Caronte nordafricani che sospingono armi in pugno i disperati destinati all’ordalia del mare.

Chi vuole lucrare sull’ecatombe di Lampedusa? I quattrini sonanti, lo sappiamo, se li intascano i carrettieri della morte, quei moderni Caronte nordafricani che sospingono armi in pugno i disperati destinati all’ordalia del mare. Ma qui parliamo d’un altro tipo di sciacallaggio che è politico. Dunque non ci riferiamo all’amico Luigi Manconi (vedi il suo editoriale sul Manifesto, “La strage annunciata”) e a chi, assieme a lui, imbraccia l’ideologia dell’umanitarismo militante in nome della quale diventa secondario perfino porsi problemi di fattibilità pratica o di condivisione strategica europea: per loro, il dovere dell’accoglienza cieca “attiene al livello di civiltà che vorremmo connotasse il nostro paese, e alla qualità della sua vita democratica”. E’ una posizione chiara, metafisica direi, nel cui perimetro non è contemplata la messa in questione culturale o anche solo economica del fenomeno migratorio, non c’è spazio per il dubbio che anzi viene diabolizzato come “torva utopia regressiva che pretende di bloccare i movimenti di milioni di esseri umani inviando cannoniere, stendendo fili spinati e alzando muri”. Per lo meno questa posizione ha il pregio della chiarezza ed è espressa con l’educazione intellettuale che difetta ai tromboni lagnosi e scaltri come Gino Strada (il suo “mi vergogno di essere italiano” dovrebbe valergli il ritiro della cittadinanza). E’ insomma quella che in altri tempi avremmo definito idea-forza e si alimenta di un realismo portato alle estreme conseguenze – come può uno scoglio arginare il mare – e che tuttavia sconfina nell’irrealtà. Realismo magico. All’opposto c’è una visione altrettanto radicale, forse regressiva ma non meno realistica, e che per inverarsi necessita di un’ampia e forte collaborazione internazionale. Torniamo così al punto di partenza: la questione è anzitutto politica e lo è a tal punto da essere anche militare. O si concorda un’iniziativa euro-mediterranea finalizzata a stabilire un protettorato in Nord Africa, previa derattizzazione dal terrorismo islamista, e in questo caso acquisisce senso l’idea di tracciare linee di confine invalicabili se non in virtù di precisi vincoli umanitari, culturali ed economici, oppure si cade nella stessa irrealtà dei propri detrattori, amichevoli o callidi o invasati che siano.

 

E lo sciacallaggio? Lo sciacallaggio sta a metà del guado, lì dove il politico in grisaglia o il giornalista collettivo che per anni ha manganellato la destra becera o presunta tale, accusandola d’ingrassare elettoralmente sulla xenofobia, si gonfia dello stesso cinismo sciroccoso che vorrebbe esorcizzare nei suoi avversari. Fuori i nomi. Uno fra gli altri: Enrico Letta, pallido, redivivo professionista della nostalgia per Mare nostrum utilizzata come strumento di lotta contro il successore Matteo Renzi, il quale invece sembra aver capito che la morte sbuca sul mare dopo essersi già imbarcata nei porti libici. Tentazione miserella, quella dei lettiani d’ogni ordine e grado, e che ricorda certe prime pagine di trascorsi giornali decorate con le foto dei naufraghi accompagnate da titoli choc sulla legge Bossi-Fini. Tentazione anche strabica. Come se un ritorno alla responsabilità dell’accoglienza e della vigilanza prevalentemente italiana potesse alterare una contabilità di morte già inaccettabile di suo, se non peggiore di quella generata dal nuovo piano europeo di contenimento (per la verità anche Manconi rimane ambiguo sul pallottoliere dei sacrifici umani, e qui lo si preferisce quando grida issandosi sulla roccia dei suoi princìpi e non sulla sabbia dei numeri).

 

[**Video_box_2**]Molto si può ricamare intorno a questo scandalo della ragione umanitaria rubricato nella figura retorica di Lampedusa, ma prima occorre dire da quale parte si sta, e ammettere che sui cadaveri dei migranti s’intende giocare una sfida ideologica. Se no si è sciacalli.