Una veduta il Palmira, uno dei siti archeologici più importanti della Siria

Prendi l'arte e mettila da parte. Così in Siria gli archeologi salvano il patrimonio culturale dai terroristi

Redazione

Un reportage del Wall Street Journal racconta la storia di un team di professori che rischiano la vita per mettere al sicuro i beni artistici del paese minacciati dalla guerra.

Confine turco-siriano. Immaginate un gruppo di archeologi vestiti di nero. Dopo il tramonto, racconta il Wall Street Journal, superano la frontiera ed entrano in quello che oggi è territorio di guerra, dove aree controllate dallo Stato islamico si alternano alle postazioni dell’esercito del regime e a quelle dei ribelli. Gli archeologi tentano di non farsi individuare, soprattutto dai cecchini appostati sulle colline o ai piani alti dei palazzi. Si dirigono verso le cosiddette "città morte", un misterioso insediamento composto da 780 abitazioni costruite tra il V e l'VIII secolo. La strada da fare è tanta, distano un'ora di macchina da Aleppo procedendo verso sud. Questi antichi insediamenti sono diventati celebri perché ancora non ci si spiega il motivo per cui un giorno siano state abbandonate. La più importante, Sergilla, è patrimonio mondiale dell'Unesco. Il gruppo di archeologi arriva e raccoglie tutto ciò che trova: antichi vasi, monili, statuette, qualsiasi cosa che abbia un valore artistico. Alcuni li prendono con sé, altri li sotterrano collegandoli a un Gps per poterli un giorno individuare e recuperare. A lavoro finito, con la stessa attenzione, gli archeologi rientrano in Turchia superando il confine.

 

Li chiamano i "monuments men", i salvatori del patrimonio culturale e archeologico di Siria e Iraq. La squadra è formata da insegnanti dell'Università di Damasco che hanno deciso di dare il proprio contributo per salvare quanto resta dell’immenso tesoro artistico custodito in Siria e ora minacciato dalla guerra. Fanno base in Turchia, dove hanno anche un campo di addestramento, sotto la guida di un archeologo olandese, Rene Teijgeler. La minaccia principale per i cinque dei sei patrimoni mondiali dell'umanità presenti in Siria - dicono al Wall Street Journal - è quella del commercio di oggetti dall'inestimabile valore artistico al fine di finanziare la guerra. Una pratica diffusa tra tutte le parti in lotta. Soprattutto tra i jihadisti dello Stato islamico, per i quali il contrabbando di resti archeologici è la seconda fonte di ricchezza dopo il petrolio. Anche "i rifugiati tentano di vendere piccoli manufatti, ma il grosso di quanto trafugato viene venduto a privati per grandi somme di denaro", ha spiegato al Wsj un antiquario di turco di Gaziantep. E’ lo stesso Stato islamico a esortare i residenti a contrabbandare beni artistici: basta versare il 20 per cento della somma ottenuta dalla vendita all'amministrazione locale.

 

[**Video_box_2**]Solo negli Stati Uniti, la vendita degli oggetti antichi provenienti dalla Siria è aumentata del 134 per cento nel 2013 per un valore stimato attorno agli 11 milioni di dollari. "E' la più grave emergenza culturale che abbia mai visto", ha detto Michael Danti, un archeologo della Boston University ora consulente del Dipartimento di Stato al quale sta consigliando i metodi per affrontare il problema. In Siria, antiche città come Aleppo, il cui antico mercato è già andato distrutto, Mari, vicina al confine iracheno e risalente al 300 a.C., rischiano di andare completamente distrutte. "Non riguarda solo la nostra storia", dice uno dei "monumnets men". "Salvare il nostro patrimonio artistico è la sola cosa che ci può aiutare a ricostruire una Siria inclusiva dopo la guerra".

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