Familismo pure in casa Tsipras. La neo presidente del Parlamento greco, Zoe Konstantopoulou, trentanove anni, eletta nelle liste di Syriza e figlia dell’ex deputato comunista Nikos Konstantopoulos

I figli di papà

Nicoletta Tiliacos

Ogni paese ha le sue dinastie politiche famigliari, ma la Grecia è un caso a sé. Adesso la vittoria di Syriza potrebbe aver cambiato qualcosa. O forse no.

La notizia è che, per la prima volta in novant’anni, non ci sarà nessun Papandreou nel Parlamento greco. Nelle elezioni del 25 gennaio, dove George Papandreou si presentava con una sua formazione autonoma (Movimento dei Socialisti e dei Democratici) e non più nel Pasok, di cui era stato segretario ed esponente di punta negli ultimi dieci anni, il politico sessantatreenne – più volte ministro, premier dal 2006 al 2011 – non ha ottenuto abbastanza voti per perpetuare quella che è una quasi secolare tradizione di famiglia. E dire che nel Parlamento ellenico era entrato neanche trentenne, nel 1981, e ci stava ininterrottamente da allora.

 

Anche questa circostanza – apparentemente marginale, per chi non conosca il peso delle dinastie famigliari nella vita politica greca – può far misurare l’intensità del ciclone rappresentato dagli “uomini nuovi” di Syriza, capitanati dal senza cravatta Alexis Tsipras, vincitore assoluto della partita interna (per quella esterna si vedrà). Nel nuovo Parlamento ci saranno invece, eletti con la formazione di centrodestra Nea Dimokratia, gli appartenenti alle eterne famiglie rivali dei Papandreou. Vale a dire i Karamanlis (nella persona di Kostas, ex primo ministro e nipote del fondatore di Nd, Konstantinos Karamanlis, che fu premier dal 1955 al 1963 e ancora dal 1974 al 1980). E soprattutto i battaglieri rampolli del clan Mitsotakis-Bakoyannis: la ex sindaco di Atene, ex ministro della Cultura e degli Esteri, Dora Mitsotakis in Bakoyannis, e suo fratello minore, Kyriakos Mitsotakis. Il loro genitore, il novantottenne ex primo ministro Konstantinos Mitsotakis, è a sua volta figlio e nipote di parlamentari e parente – per via del matrimonio di una zia – del fondatore della Grecia moderna, il venerato cretese Eleftherios Venizelos. Del quale, peraltro, era stato segretario e collaboratore Georgios Papandreou, capo del governo greco in esilio nel 1944, poi ministro a più riprese. Nonché padre di Andreas Papandreou, fondatore del Partito socialista Pasok, premier dal 1981 al 1989 e dal 1993 al 1996. A sua volta genitore del George Papandreou non rieletto di cui si diceva all’inizio, che porta, un po’ anglicizzato – di madre americana, è anche nato in America, dove la sua famiglia era in esilio all’epoca dei colonnelli – il nome dell’illustre nonno.

 

Se vi gira la testa, è più che comprensibile. Come è noto, in pochi paesi al mondo come in Grecia la politica è affare di famiglia. Succede ovunque che figli e nipoti d’arte seguano le orme dei padri. Succede quasi sempre in Asia (pensiamo alle dinastie indiane Nehru e Gandhi). E succede in occidente. L’Economist della scorsa settimana dedicava la copertina all’“America’s new aristocracy”. Può suonare strano, insomma, parlare di dinastie politiche greche quando la prossima sfida per la Casa Bianca potrebbe giocarsi tra un Bush e una Clinton, per non parlare di quanto la famiglia Kennedy abbia pesato sulla politica americana. Al settimanale inglese sembra strano, invece, che un paese come gli Stati Uniti, “fondato sul principio di ostilità verso l’idea di eredità dello stato, debba mostrarsi così tollerante con le dinastie”. Per concludere che proprio perché “l’America non ha mai avuto re o aristocratici, a volte sembra meno incline a preoccuparsi dei segni di fossilizzazione delle élite”. E’ fatale: uomini ricchi e di successo sposano donne altrettanto ricche, e la prole ha a disposizione mezzi e prospettive di istruzione che li piazzano in posizioni preminenti, praticamente già dalla culla, alla faccia dell’apologia delle pari opportunità: negli Stati Uniti, “il legame tra il reddito dei genitori e il successo scolastico di un bambino è sempre più forte” ed è poco meno che un’ovvietà. Ma se tutto questo, aggiunge l’Economist, “non è peculiare dell’America, lì la tendenza è più evidente”, se non altro perché “l’America è uno dei soli tre paesi avanzati in cui il governo spende di più per le scuole nelle zone ricche che in quelle povere” e perché le tasse universitarie crescono diciassette volte più velocemente del reddito medio. Tutto questo fa scrivere al settimanale che “le università americane hanno bisogno di una iniezione di meritocrazia”, perché il paese non debba ritrovarsi a scegliere, magari di nuovo tra otto o dodici anni, “tra un altro Bush e un altro Clinton”.

 

Alla perfida Albione si potrebbe replicare che certe prediche sul peso delle dinastie e dei patrimoni di famiglia si ascoltano malvolentieri da parte di un paese che ha una Camera dei Lord, i cui componenti acquisiscono una carica politica per via strettamente ereditaria. E’ successo almeno fino all’ultima riforma del 1999 che ha comportato qualche correzione democratica: oggi, sugli 826 membri della House of Lords, solo 92 sono ancora ereditari, mentre 709 sono membri a vita senza possibilità di trasmettere il titolo ai figli e 38 sono in aspettativa. Non bisogna dimenticare, però, che tra tanti immeritevoli figli di papà con castello, maneggio e muta di beagle per la caccia alla volpe, la politica per via ereditaria inglese ha dato alcuni campioni assoluti. Un nome per tutti? Winston Churchill, arrivato alla politica perché quello e non altro era il suo destino stabilito dalla nascita. Ed è stata una fortuna per tutta l’Europa, oltre che per il suo paese.

 

Ma torniamo alla Grecia e alle sue (non più tanto) inossidabili dinastie politiche. Il giornalista Dimitri Deliolanes, che ha appena pubblicato per Fandango “La sfida di Atene. Alexis Tsipras contro l’Europa dell’austerità”, è convinto che proprio la mancata elezione di Papandreou sia un segnale di quanto gli elleni non ne possano più di una politica colonizzata da quattro o cinque famiglie inamovibili. “Papandreou ha creduto di poter puntare ancora sul proprio illustre cognome e ha perso. Poteva candidarsi con la sua vecchia formazione, il Pasok, ma non ha voluto fare un passo indietro rispetto a Evangelos Venizelos (che non è parente di Eleftherios Venizelos, ndr), presidente del partito, vice primo ministro e ministro degli Esteri nel governo di coalizione presieduto da Antonis Samaras, il grande sconfitto delle ultime elezioni”. Ma se nel Pasok la stella dei Papandreou sembra definitivamente tramontata, “non altrettanto si può dire di Nuova democrazia. Antonis Samaras è sotto scacco – spiega ancora Deliolanes – e alcune voci lo davano in procinto di passare la mano. Si è parlato di dimissioni, poi di un congresso straordinario, ma non ci sarà nulla di tutto questo. Samaras, a dispetto della tradizione che vuole l’abbandono dei leader sconfitti, vuol rimanere a capo di Nd, appare deciso a combattere la propria battaglia nel partito. La sua rivale più pericolosa è la determinatissima Dora Bakoyannis”.

 

[**Video_box_2**]La quale è erede di dinastie politiche ma anche, per parte di madre, economiche, tanto che si favoleggiava di certi suoi shopping stellari a Roma, segnatamente da Valentino, in anni non troppo lontani. Stiamo parlando dei soliti armatori, detentori di fortune ragguardevoli – le più importanti e solide, in Grecia – che, come nel caso della Bakoyannis, rafforzano, se non determinano, gli allori politici. Ma è anche il caso dell’ex ministro della Difesa Ioannis Varvitsiotis, a sua volta nato in una importante famiglia di armatori di navi mercantili. Dalla sua, aggiunge Deliolanes, “la ex sindaca di Atene ha una gran voglia di rivalsa su Samaras che l’aveva sconfitta alle primarie del 2009. Mentre non credo che possa tornare in posizione preminente, nel centrodestra, un personaggio come Kostas Karamanlis. Perfino all’epoca in cui è stato primo ministro era evidente la sua scarsa vocazione per il ruolo che ricopriva e nel quale vivacchiava senza convinzione. Nel suo caso, essere un Karamanlis lo obbliga a far politica, mentre lui avrebbe voglia di godersi le sue fortune in modo molto meno faticoso. Ma la dinastia dei Karamanlis, tra quelle citate, è la più recente e quella di origini più umili. A Kostas tocca fare quello per cui non è tagliato, pur di non farla uscire di scena”. Per questo, dopo i Papandreou, anche per i Karamanlis la politica ateniese sembra non riservi più grandi prospettive.

 

Ma da dove viene una così singolare importanza delle dinastie famigliari greche? Secondo Deliolanes “è un’eredità asiatica. Le grandi famiglie contano in un modo tutto particolare sia nell’impero bizantino sia in quello ottomano, e la Grecia odierna viene da lì. Non c’è stato il feudalesimo occidentale, con la proprietà terriera tramandata agli eredi insieme con i titoli nobiliari. Le grandi famiglie esistevano, ma si trasmettevano le cariche di corte. A più riprese si è cercato di rendere ereditari i governatorati, ma il potere centrale – bizantino e poi ottomano – lo ha sempre accuratamente impedito. Il potere era politico per definizione, e squisitamente politico era anche il potere delle grandi famiglie”.

 

Una simile eredità, pesante di millenni, non svapora nel giro di un’elezione, per quanto sorprendenti possano essere i risultati. Per una vecchia famiglia che impallidisce, nell’agone politico altri figli e altri nipoti avanzano. Ora tocca a una Zoe Konstantopoulou, classe 1976, tosta avvocatessa appena nominata presidente del Parlamento greco, raccogliere il testimone del padre Nikos Konstantopoulos, un passato nella resistenza contro i colonnelli, già parlamentare e leader della formazione comunista Synaspismós, poi confluita in Syriza. “Di Zoe Konstantopoulou sentiremo parlare – prevede Deliolanes – se non tradirà la grinta dimostrata nella commissione parlamentare dedicata alla vicenda della cosiddetta ‘lista Lagarde’, che conteneva i nomi di greci sospettati di aver portato all’estero somme ingenti”. Più di duemila nomi importanti, della politica, delle professioni, del commercio. Anche in quel caso, spesso, nomi di grandi famiglie.

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