Nunzio Galantino e Papa Francesco

Così la Cei prova (senza successo) a dire la sua sul Quirinale

Redazione

Al Quirinale deve andare una figura di garanzia, un arbitro in grado di "sintonizzarsi con il fuso orario della gente". La conferenza episcopale italiana, il grande rassemblement dei vescovi d'Italia, potentissima e numerosissima, ha partorito siffatta richiesta alla politica nostrana.

Al Quirinale deve andare una figura di garanzia, un arbitro in grado di "sintonizzarsi con il fuso orario della gente". La conferenza episcopale italiana, il grande rassemblement dei vescovi d'Italia, potentissima e numerosissima, ha partorito siffatta richiesta alla politica nostrana (intenta da due giorni a votare l'inquilino del Colle). A farsene carico è stato Nunzio Galantino, vescovo di Cassano allo Jonio e della Cei segretario generale, cioè numero due. Tirando le somme del Consiglio permanente che si è tenuto dal 26 al 28 gennaio a Roma, mons. Galantino – che ha anche accusato il sindaco della Capitale, Ignazio Marino, di occuparsi di unioni civili per non riparare le buche nelle strade – ha avvertito che l'essere stati membri di "associazioni cattoliche" non basta di per sé a garantire sull'affidabilità del prescelto. Il riferimento era a Sergio Mattarella, il cui curriculum trabocca di partecipazioni ad associazioni di quel tipo. Strano, ha osservato qualche attento (e navigato) osservatore dell'evoluzione dei rapporti tra le sponde del Tevere: è la prima volta che i vertici della Cei reagiscono così a una domanda sull'uomo da mandare al Quirinale. Di solito, anche se il  profilo del "papabile" è l'opposto di quello ideale immaginato dai vescovi italiani, pubblicamente è tutto un sorridere, stringere mani, applaudire. Le cose sono cambiate. Stavolta, il telefono degli altri prelati italiani è squillato poche volte: pochi contatti, se non di mera cortesia. Ma nessun ruolo di mediazione, di consultazione. E poco c'entra che Matteo Renzi abbia deciso di spedire alla più alta magistratura della Repubblica un democristiano tra i più autorevoli membri del disciolto Partito Popolare.

 

Il primo stacco è stato non con l'elezione dell'azionista Carlo Azeglio Ciampi, bensì con quella di Giorgio Napolitano nel 2006, avvenuta quasi in concomitanza con la fine del ventennio ruiniano: un comunista, il primo sul Colle. Nel palazzo apostolico ricordano ancora la prima udienza con Clio Bittoni, la first lady, che si presentò al Papa senza velo. Cosa mai vista. Napolitano con Benedetto XVI strinse un rapporto profondo, cordiale e d'intesa: si ricorda ancora la commozione del capo dello Stato durante l'ultimo incontro con Ratzinger. Un rapporto proseguito anche con Francesco. Ed è proprio con quest'ultimo che si consuma il taglio definitivo: al Papa argentino proiettato verso le periferie geografiche ed esistenziali, della politica italiana interessa meno di zero. Ha ricevuto Marino e la Bonino, fa notare chi non ha ancora metabolizzato la telefonata a Marco Pannella. E' il segno che di marcare distanze con esponenti "non graditi" a Bergoglio non passa neppure per la mente. Semmai, aveva chiarito il Pontefice argentino due mesi dopo l'elezione al Soglio di Pietro ai vescovi italiani riuniti in San Pietro per la professione di fede, "il dialogo con le istituzioni culturali, sociali, politiche è un compito vostro e non è facile". Vostro, non mio.

 

[**Video_box_2**]In un'intervista ad Avvenire dello scorso febbraio, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, s'era soffermato proprio su quel passaggio del discorso papale, aggiungendo: "Non ritengo, tuttavia, che tale indicazione significhi la negazione di un ruolo della Santa Sede e che nessuno – Segreteria di Stato o Cei – debba o possa rivendicare in esclusiva i rapporti con la politica italiana". Semmai, "bisogna procedere in sinergia". Chiarissimo il riferimento di Parolin a quanto accaduto nel 2007: Tarcisio Bertone, da poco segretario di Stato, inviò ad Angelo Bagnasco (successore di Ruini alla guida della conferenza episcopale) una lettera in cui avocava a sé i rapporti con le Istituzioni italiane. Un bel cambiamento rispetto a quanto accaduto dagli anni Novanta in poi, dopo la svolta wojtylana di Loreto del 1985. E comunque, chiariva Pietro Parolin, "l'animazione cristiana dell'ordine temporale è compito specifico dei laici".