Team pink

Annalena Benini

Quando gli esseri umani decidono di unirsi e lavorare insieme può succedere qualunque cosa: si litiga, si fallisce, si soffre, ci si danneggia, si danneggia il mondo, ci si innamora, a volte si fanno grandi cose. Le squadre che vincono di più sono quelle con le quote rosa, scrive il Nyt.

Quando gli esseri umani decidono di unirsi e lavorare insieme (per la Cia, per una società, dentro un condominio, nella giuria di un tribunale o anche solo nell’elezione del rappresentante di classe) può succedere qualunque cosa: si litiga, si fallisce, si soffre, ci si danneggia, si danneggia il mondo, ci si innamora, a volte si fanno grandi cose. E se quando giochiamo a Trivial cerchiamo di avere in squadra i più secchioni dei nostri amici, che sanno ancora a memoria i Sonetti di Ugo Foscolo e conoscono i confini e il numero di abitanti dello Zimbabwe, nel lavoro di gruppo non è la somma delle intelligenze dei singoli a garantire il successo: un team di premi Nobel potrebbe non essere in grado di risolvere un problema semplice (o anche di dare le risposte esatte al Trivial Pursuit). Il New York Times e l’Atlantic hanno esaminato due studi del Mit (Massachusetts Institute of Technology, uno dei più importanti del mondo) sulle caratteristiche necessarie di una buona squadra, cercando di capire se basti essere molto brillanti per far funzionare il meccanismo del gruppo, anche nei casi in cui quel gruppo sia guidato da un capo sufficientemente carismatico da prendere molte decisioni. Naturalmente le capacità individuali sono importanti (chi ha un buon vocabolario, ad esempio, tende anche ad avere buone abilità matematiche). Ci sono squadre semplicemente più forti di altre, ma ci sono squadre che lavorano meglio insieme, e non conta né il quoziente intellettivo, né la coesione, né la voglia di farcela. Le squadre più intelligenti, scrive il New York Times, sono contraddistinte da tre caratteristiche: primo, i membri del gruppo hanno contribuito più equamente alle discussioni, invece che lasciare a una o due persone il ruolo dominante (insomma, la democrazia funziona). Secondo: i componenti della squadra hanno la capacità di leggere nella mente, cioè di accorgersi degli stati d’animo dei colleghi guardandoli in faccia, ascoltando le loro parole. Terzo, ed ecco una giustificazione meno sciocca per la necessità delle quote rosa: le squadre con più donne vincono.

 

Non basta nemmeno avere un numero uguale di uomini e donne in squadra: per vincere, per essere davvero efficienti, bisogna che ci siano più donne. La spiegazione scientifico-psicologica è che le donne possiedono la seconda caratteristica indispensabile: una maggior capacità di leggere nella mente, sono brave a interpretare le espressioni facciali, ad accorgersi che sta succedendo qualcosa, che il tizio seduto di fronte sta mentendo, dice: “Certo” ma pensa il contrario, che quello in piedi ritiene che sia tutto un complotto contro di lui, che il collega d’angolo soffre per amore. Ha a che fare con la sensibilità sociale, di cui gli uomini non sono particolarmente dotati (come esperimento, si può tentare una minuscola prova casalinga priva di valore scientifico. Mettete il muso all’uomo che siede sul divano di casa vostra, lui vi chiederà: che cos’hai? Voi risponderete: niente, e continuerete con il muso.

 

[**Video_box_2**]L’uomo sul divano sarà completamente soddisfatto dalla risposta e la sua mente non registrerà nessun dubbio). Secondo i ricercatori, questa sensibilità sociale è fondamentale per far funzionare un gruppo di lavoro, per ottenere buoni risultati e per prendere sagge decisioni. Non si arriva a dire che le donne sono più intelligenti, ma che possiedono un’abilità essenziale (che si manifesta anche in un gruppo di sudoku, nel poker, nelle maratone di Trivial in cui è necessario prestare attenzione all’intonazione della domanda). Un’abilità che nella vita privata a volte crea qualche complicazione, ma che nel lavoro di squadra è imprescindibile per la vittoria e per l’adattamento ai cambiamenti. L’Atlantic approfitta di questa scientifica indispensabilità femminile per prevedere l’inversione del divario retributivo fra uomini e donne. E in un futuro prossimo, abbastanza spaventoso, un motivo di licenziamento potrebbe essere: analfabetismo emotivo.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.