2 gennaio 2015. Hayat Boumeddiene, sospettata complice nella strage di Parigi, fa il suo ingresso in Turchia (foto LaPresse)

Non basta prendere le distanze, dice Passera: "I leader islamici collaborino contro il terrorismo"

Stefano Di Michele

Certo, la condanna. Ma la condanna da sola non basta. “Serve collaborazione”, dice Corrado Passera, il leader di Italia Unica: “Non basta condannare, non basta prendere le distanze, non basta considerare cani sciolti questo o quel terrorista. Bisogna comportarsi di conseguenza".

Certo, la condanna. Ma la condanna da sola non basta. “Serve collaborazione”, dice Corrado Passera, il leader di Italia Unica, che proprio a fine mese celebrerà il suo primo congresso. Spiega: “Non basta condannare, non basta prendere le distanze, non basta considerare cani sciolti questo o quel terrorista. Bisogna comportarsi di conseguenza, prendere posizione nelle comunità, collaborare con la polizia nazionale e internazionale. Sia come paese, sia come come Europa, sia come Onu, non dobbiamo più contentarci di generiche prese di distanza dal terrorismo”. Questo cosa comporta? “Che bisogna realmente lavorare e operare, costi quel che costi, per sradicarlo. Che non si devono ospitare terroristi. Che dobbiamo cominciare a distinguere più nettamente tra i paesi che lo fanno e quelli che che non lo fanno. Può darsi che ciò costringa a pagare dei prezzi nei rapporti, politici ed economici, con alcuni paesi non sufficientemente determinati, ma su questo dobbiamo essere intransigenti e chiari. E pretendere dagli alleati analogo comportamento, se vogliamo davvero difendere i nostri ideali”. Parte, la riflessione di Passera, dalle immagini della grandiosa manifestazione di Parigi. “Il corteo e la leadership di tanti paesi democratici, il forte segnale di unità, è importantissimo. Molto del successo che potremmo avere contro il terrorismo dipende proprio dalla collaborazione tra questi paesi. Il fatto che tanti di loro abbiano detto: non arretriamo di un passo, non rinunciamo a nessuna delle nostre libertà, è fondamentale”.

 

Resta il problema concreto, della minaccia quotidiana. Angelo Panebianco ha scritto sul Corriere che ormai abbiamo la guerra in casa. “Io ne do questa lettura: che questa guerra ha bisogno della collaborazione attiva delle stesse comunità islamiche, dei paesi islamici, che in alcuni casi non a sufficienza collaborano. Non dobbiamo più accontentarci di dire islam buono o islam cattivo. Così come dobbiamo impegnarci sull’integrazione, dobbiamo chiedere agli integrati di avere posizioni più nette, più distanti, più collaborative contro terrorismo e fanatismo. Senza se e senza ma”.  Discorso complicato. “Poi, su altri tavoli parliamo di integrazione, di periferie, di banlieue. Ma guai a trovare giustificazioni sociologiche a comportamenti che sono solo criminali. Non è che la tolleranza, nei principi liberali, può arrivare a tollerare gli intolleranti. Così alla fine si perdono le libertà. Con i terroristi bisogna essere intolleranti, perseguirli come criminali a qualsiasi livello”. Anche il Papa ha chiesto ai leader musulmani di condannare il fondamentalismo. “Certo. Ma condannare non basta. Non basta prendere le distanze. Bisogna collaborare nella lotta contro questa forma di criminalità. Che non è certo lotta all’islam, ma a un pezzo di islam che rappresenta una minaccia per gli stessi paesi islamici moderati che vogliono integrarsi con il resto del mondo”. 

 

[**Video_box_2**]E’ in corso una polemica sul trattato di Schengen, che Francia e Spagna vogliono rivedere, mentre l’Italia è contraria. “Nessun paese europeo parla di sospendere Schengen. Se per un evento criminale venisse rimessa in discussione una nostra conquista di civiltà, sarebbe una vittoria strepitosa dei terroristi. Che poi servano più controlli sui confini esterni, più forza, più capacità di rigetto di chi non vogliamo che entri, figurasi se non sono d’accordo”. E il governo italiano, cosa dovrebbe fare? “Le cose di cui parlavamo. Se è vero che la battaglia deve essere condotta insieme, dimostrare concreta collaborazione tra i servizi di sicurezza. Premiare i rapporti con tutti i paesi extra europei che collaborano nella lotta al terrorismo, essere meno disponibili con quelli che s’impegnano meno. E in termini interni, pensare a nuove regole nel campo dell’immigrazione”. In che senso? “Che rispetto ad altri paesi europei, l’Italia ha dimostrato una maggiore capacità di integrare chi è venuto da fuori. Tra il nostro modello, e quello francese, tedesco e inglese, non c’è dubbio su quale abbia meno problemi. Ma è chiaro che la legislazione in materia – pensata in momenti in cui c’erano molti meno immigrati e non c’era recessione e crisi economica – deve essere rivista. Non parlo dei rifugiati o di coloro che dobbiamo assistere, anche come dovere umano, ma dal punto di vista del mercato del lavoro bisogna cambiare: non possiamo più permetterci di accogliere persone con basse o bassissime qualificazioni professionali. Dobbiamo cominciare ad avere mano d'opera di qualità. Proprio per non mettere in discussione ciò che di buono, nonostante le difficoltà, è stato finora costruito”.