Il generale Graziano e Del Sette

Graziano e Del Sette. Chi sono le due stellette renziane sotto l'albero di Natale

Redazione

Nel pacchetto delle  “nomine di Natale” varate dall’ultimo Consiglio dei ministri, ci sono quella del nuovo capo di stato maggiore della Difesa, il generale Claudio Graziano, e quella del nuovo comandante generale dell’Arma dei carabinieri, Tullio Del Sette.

Roma. Nel pacchetto delle  “nomine di Natale” varate dall’ultimo Consiglio dei ministri, ci sono quella del nuovo capo di stato maggiore della Difesa, il generale Claudio Graziano, e quella del nuovo comandante generale dell’Arma dei carabinieri, Tullio Del Sette, ora capo di gabinetto del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, dopo aver raggiunto la carica di vice comandante generale dell’Arma.

 

Del generale Graziano (classe 1953, fama di grande determinazione) parliamo con Germano Dottori, segretario generale del Centro di studi strategici e di politica internazionale presso la Luiss. La sua scelta al vertice interforze, secondo Dottori, “è la migliore possibile. Stavolta l’incarico doveva necessariamente toccare a un ufficiale dell’esercito, per motivi di avvicendamento tra le armi, dopo aviazione e marina. E Graziano, capo di stato maggiore dell’esercito, era il candidato naturale. Ma penso che il suo profilo sia quello giusto anche al di là di questa circostanza. Graziano è il miglior prototipo di ufficiale della Seconda repubblica, cioè di un militare che alla vasta e qualificata esperienza sul campo unisce una spiccata sensibilità politica e anche un’ottima capacità di comunicatore, il che non guasta”. All’inizio degli anni Novanta, ricorda Dottori, “è stato capo del contingente italiano in Mozambico, e più tardi ha avuto un incarico importante in Afghanistan, all’epoca in cui all’Italia toccò il comando delle forze Nato nell’operazione Isaf VIII. Se al vertice c’era il generale Del Vecchio, Graziano comandava la divisione internazionale alla quale era affidata la sicurezza di Kabul e dintorni”. Oltre a queste credenziali, prosegue Dottori, il nuovo capo di stato maggiore della Difesa vanta anche quella di “comandante dell’Unifil II, l’operazione messa in campo in Libano dalle Nazioni unite dopo il conflitto tra Israele ed Hezbollah. Lì si è fatto un’esperienza straordinaria nella gestione dei rapporti, sia con gli alleati sia con le forze contendenti”. Dottori sottolinea poi che nessuno come Graziano “è consapevole del fatto che, tra le tre armi, l’esercito di terra, dal quale proviene, è quello rimasto più indietro nel rinnovamento del parco materiali”. Per questo, dobbiamo con ogni probabilità aspettarci, anche in questa difficile epoca di tagli e di compatibilità fissate dalla legge di stabilità, che “tenti di ottenere per l’esercito finanziamenti straordinari. Così come suo predecessore, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, aveva ottenuto lo scorso anno per la marina 5,4 miliardi, destinati alla ricostruzione della flotta militare, e mentre l’aviazione può contare su 6,5 miliardi per gli F35”. Dice ancora Dottori che “in un momento di crescita dell’insicurezza in Europa, tra le tensioni russo-ucraine e gli avvenimenti drammatici che coinvolgono il Mediterraneo nell’area tra Libano e Golfo Persico, la Repubblica italiana ha soltanto undici carri armati in grado di funzionare senza una preventiva manutenzione. L’opinione pubblica queste cose le ignora, magari crede che i militari continuino a chiedere nuove armi perché vogliono giocare alla politica di potenza. Non è così. E i militari come Graziano conoscono bene la situazione, così come sanno di dover rispondere alle aspettative di un potere politico che lesina i soldi ma è lesto nell’assumere impegni internazionali che coinvolgono le nostre Forze armate”.

 

Nella nomina colui che dal 10 gennaio sarà il comandante generale dell’Arma dei carabinieri, il generale Tullio Del Sette (classe 1951) c’è chi vede brillare la firma decisionista di Matteo Renzi. Non solo per il ruolo fin qui ricoperto da Del Sette come capo di gabinetto del ministero della Difesa (e quindi per l’evidente rapporto di fiducia con il ministro Pinotti) e per il fatto di essere stato per sette anni capo dell’Ufficio legislativo presso lo stesso ministero. Ma anche perché, fa notare una fonte del Foglio che preferisce non essere citata, “in apparenza non costava nulla, al governo, prorogare di tre mesi l’incarico del generale Leonardo Gallitelli, che ha governato l’Arma dal 2009 con risultati riconosciuti da tutti, per consentirgli poi di diventare consigliere militare del nuovo presidente della Repubblica. Renzi ha invece optato per una scelta immediata e netta, che almeno in parte richiama, come filosofia, quella che ha portato la comandante dei vigili urbani fiorentini, Antonella Manzione, a capo dell’Ufficio legislativo di palazzo Chigi. E’ una rottura di schemi che segnala una discontinuità rispetto alla gestione precedente, anche se il curriculum di Del Sette (che è anche figlio di carabiniere) con il suo medagliere di importanti incarichi dentro l’Arma indicherebbe almeno formalmente il contrario”. Altre fonti raccontano che il nuovo comandante è molto amato e stimato nella Benemerita. Tra i motivi, “il suo non essere un carrierista a ogni costo, la capacità di interloquire con piglio cordiale anche con i bassi gradi e di gestire i rapporti gerarchici in modo più manageriale che militare in senso stretto. Una qualità, questa, particolarmente apprezzata da Renzi”.

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