Un'immagine tratta da uno dei numerosi video di propaganda dello Stato islamico

La risoluzione dell'Onu sui “foreign fighters” che fa impazzire le spie

Leonardo Bellodi

Sulla scrivania del direttore dei servizi segreti francesi continuano ad arrivare dispacci sui compatrioti che si trovano in Siria a combattere per lo Stato islamico. Ma ora Parigi non è la sola a essere preoccupata.

Non deve essere un periodo facile per il direttore della potente Direction Générale de la Sécurité Extérieure, i servizi segreti francesi, il cui motto “in ogni luogo dove la necessità fa legge” ben rappresenta il concetto di interesse nazionale. Sulla sua scrivania continuano ad arrivare rapporti sulla presenza dei cittadini francesi nelle file dei “foreign fighters”, i combattenti stranieri che in nome di ideali religiosi si recano in Siria o si arruolano nello Stato islamico. Un video diffuso qualche giorno fa mostra tre cittadini francesi che bruciano i loro passaporti e incitano i loro concittadini a raggiungere la Siria e a commettere attentati sul suolo francese.

 

Ma i servizi francesi non sono i soli a essere preoccupati. Un rapporto confidenziale redatto da un team speciale del Consiglio di sicurezza dell’Onu sottolinea che il fenomeno dei foreign fighters è sempre più in crescita e ha raggiunto livelli mai visti negli ultimi 20 anni. Più di 15 mila persone provenienti da 80 paesi nutrono le file dello Stato islamico e di organizzazioni terroristiche affiliate. E purtroppo l’appello lanciato da questi personaggi a proseguire la lotta nei paesi di origine pare attecchire, come dimostrano l’attacco al museo ebraico a Bruxelles a maggio, la sparatoria di Ottawa in ottobre e la presa di ostaggi a Sydney il cui epilogo è stato sanguinoso. Campi di addestramento di terroristi sono stati individuati dalle intelligence occidentali in Afghanistan, Somalia, Libia, Iraq, Mali, Nigeria, Siria. In Olanda, il rischio attentati terroristici è stato aumentato di due livelli, il ministro dell’Interno tedesco ha definito i combattenti stranieri come una bomba a orologeria e il capo dell’intelligence tedesca Bundesamt für Verfassungsschutz (BfV) ha osservato che questi signori quando ritornano in patria sono percepiti dalle loro comunità come eroi da emulare. L’uso professionale dello Stato islamico dei social media, un fatto nuovo nell’ambito del terrorismo internazionale, alimenta questi fenomeni a livelli mai visti fino a oggi.

 

Le intelligence occidentali passano molto del loro tempo a identificare, rintracciare e seguire i più di duemila cittadini europei che si arruolano all’estero o che vorrebbero farlo. Il problema però è che le norme in vigore in molti stati non sono adatte a contrastare il nuovo fenomeno. Non è certo un reato andare in Siria e uno stato non può impedire a un proprio cittadino di ritornare nel proprio paese. Il fenomeno preoccupa molto anche gli Stati Uniti dal momento che cittadini dell’Unione europea possono recarsi in quel paese senza visto. Un altro problema è la diversità di analisi e vedute dei differenti stati. Mohamed Mahmoud, un cittadino austriaco anche conosciuto come Abu Osama al Gharib, era stato identificato dall’intelligence tedesca come leader del gruppo salafita Millatu Ibahim. Espulso, fu poi incarcerato in Austria e dopo un po’ liberato per essere arrestato dalle autorità turche per aver tentato di attraversare illegalmente il confine con la Siria. La Turchia è un luogo di passaggio usuale per i combattenti stranieri o aspiranti tali dal momento che i cittadini occidentali possono recarsi in Turchia con la semplice carta di identità. L’Austria ha chiesto l’estradizione alle autorità turche che non hanno però aderito alla richiesta. Colpito da un mandato di cattura dell’Europol, di al Gharib si sono perse le tracce per un anno, fino a due settimane fa quando lo Stato islamico ha postato su internet una sua foto accanto a un corpo decapitato.

 

[**Video_box_2**]Legislazioni nazionali assenti o inadatte, diversità di analisi dei fenomeni da parte degli stati e la necessità di un sempre maggiore coordinamento tra i servizi di intelligence hanno spinto il Consiglio di sicurezza dell’Onu a compiere un passo piuttosto inusuale. Alcune settimane fa, in una riunione presieduta da Barack Obama, ha votato all’unanimità la risoluzione 2178/2014 giuridicamente vincolante, una tipologia molto rara, che obbliga i paesi ad adottare leggi stringenti per perseguire chi si affilia ai gruppi estremisti ed evitare l’ingresso e il transito di persone legate al terrorismo. La risoluzione, che Obama ha definito storica, è stata criticata sia da chi la vede come un possibile pretesto per limitare i diritti civili sia da chi la giudica di difficile attuazione e dunque poco efficace. La risoluzione, che è stata adottata in considerazione del fatto che il fenomeno dei foreign fighters rappresenta una grave minaccia alla stabilità e pace internazionali, rimanda alle legislazioni nazionali il compito di definire i divieti specifici. Non sarà semplice determinare se un cittadino si reca, per esempio, in Turchia a scopo turistico – in questo caso la limitazione alla libertà di movimento non è giustificata – oppure per attraversare in modo clandestino il confine con la Siria. Perché venga negato l’espatrio la risoluzione impone che ci siano “informazioni credibili” e “ragionevoli indizi” a carico dell’aspirante combattente. Un lavoro in più ed estremamente sensibile per i servizi di intelligence dei paesi di mezzo mondo.

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