Il candidato di Nidaa Tounes, Beji Caid Essebsi, durante un comizio elettorale a Tunisi, sorvegliato da uomini della sicurezza (foto AP)

Ecco perché le elezioni in Tunisia non sono così luccicanti come sembra

Luca Gambardella

Alle presidenziali vincono i "dinosauri" del regime di Ben Ali e Bourguiba. "Premiata" dall'Economist come "paese dell'anno", il nuovo presidente Essebsi dovrà però rimediare al più presto all'economia fragile e alla minaccia dell'estremismo.

Beji Caid Essebsi è il leader ottantottenne del partito secolare di Nidaa Tounes e si è aggiudicato la maggioranza dei voti alle elezioni presidenziali in Tunisia. Ha raccolto il 55,68 per cento dei consensi superando il rivale sessantanovenne Moncef Marzouki, presidente ad interim negli ultimi tre anni e sostenuto dagli islamisti, fermo al 44,32 per cento. Il voto di ieri mostra un paese spaccato in due: da una parte i grandi centri urbani, dove la maggioranza ha sposato la linea della “sicurezza” e della “stabilità”, temi su cui Essebsi ha puntato molto durante la campagna elettorale, dall’altra, la provincia e la periferia, più legate alla tradizione berbera, le frange più povere del paese che sostengono Marzouki.

 

Nonostante la retorica che vede nella Tunisia “il solo paese che è uscito vittorioso dalle primavere arabe”, rinvigorita di recente anche dall’Economist che ha scelto l’ha scelta come “paese dell’anno” per la sua “moderazione” e per “le due elezioni democratiche tenute in un anno”, l’economia tunisina continua a stentare e la minaccia estremista resta elevata. Disoccupazione giovanile in continua crescita (circa il 20 per cento della fascia d’età compresa tra i 15 e i 25 anni) e un costo della vita sempre più alto rendono l’immagine di un paese fragile, non troppo lontano da quello che nel 2011 inaugurò il processo rivoluzionario nell’Africa del nord. Eppure la campagna elettorale è stata una roboante botta e risposta tra i due candidati, tesa più a screditare l’avversario piuttosto che a proporre soluzioni concrete per risollevare l’economia nazionale. Del resto, la storia politica dei due candidati alla presidenza non poteva prestarsi meglio al gioco dialettico del “vecchio” contro il “nuovo”. Il grande sconfitto, Marzouki, è un ex attivista per i diritti umani, fermo oppositore sia di Bourguiba sia di Ben Ali che lo misero in carcere più volte per essersi permesso di contestare il regime. Marzouki ha denunciato più volte Essebsi di essere invece un veterano del nidham (sistema, ndr) avendo servito nei gabinetti di Habib Bourguiba prima (il suo primo incarico come ministro dell’Interno risale a ben 50 anni fa) e Ben Ali poi. Eppure, proprio Essebsi in campagna elettorale si è detto “molto preoccupato per il futuro delle primavere arabe”. I tunisini, aveva detto il leader secolarista prima delle elezioni, dovevano scegliere tra due strade: “Diventare finalmente una democrazia o tornare al vecchio regime”. All’indomani del voto, ora sono in molti a ritenere che il popolo abbia imboccato la seconda strada illudendosi di percorrere la prima. I sostenitori di Marzouki giudicano Essebsi un residuato del regime e hanno contestato l’esito del voto accusando il leader di Nidaa Tounes di brogli. Alcuni scontri tra manifestanti e forze di polizia si sono verificati a el Hamma, nel governatorato di Gabes, mentre nella città santa di Kairouan uomini armati si sono presentati a un seggio elettorale aprendo il fuoco contro le forze di sicurezza (uno e morto, tre sono stati arrestati mentre un poliziotto è rimasto ferito).

 

[**Video_box_2**]Con la vittoria di Essebsi la tendenza restauratrice lambisce anche Tunisi sulla spinta della minaccia terroristica che preme al confine con la Libia, da settimane al centro del confronto bellico tra forze laiche e miliziani sostenuti dagli islamisti. Il rischio di uno sconfinamento del conflitto è avvertito anche oltre frontiera ed Essebsi ha toccato le corde a cui la classe media tunisina è da sempre molto sensibile, quelle della sicurezza e della lotta all’estremismo. Il partito islamista di Ennahda, uscito ridimensionato dalla elezioni parlamentari dello scorso ottobre, si è tirato fuori dalla corsa elettorale senza sostenere nessuno dei due candidati in lizza, promettendo di rivedere i propri legami con i Fratelli musulmani (considerati ormai terroristi a tutti gli effetti nell’intera regione) e invitando i propri sostenitori ad accettare la vittoria di Essebsi. Ma l’estremismo in Tunisia continua a fare paura: la settimana scorsa lo Stato islamico ha diffuso un nuovo video intitolato “Messaggio al popolo tunisino” in cui compariva Boubaker Hakim, alias “Abou Mouqatel”, un ex militante franco tunisino del gruppo estremista di Ansar al Sharia, che rivendicava l’uccisione di Mohammed Brahmi e Chokri Belaid, due esponenti del Fronte popolare, il partito laico della sinistra tunisina uccisi nel 2013. Secondo il sito Bellingcat, il video è stato girato a Raqqa, nella Siria settentrionale. A testimoniare che i combattenti del califfo non dimenticano l’enorme bacino di fanatici religiosi rappresentato oggi dalla Tunisia: secondo gli ultimi dati, finora circa 3,000 tunisini sono partiti per la Siria e l’Iraq unendosi alle milizie di Abu Bakr al Baghdadi.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.