Un momento della commemorazione per la scomparsa di due poliziotti a New York (foto AP)

Paura a New York

Paola Peduzzi

In un istante di violenza, New York è ripiombata nel 1971, scrive Jim Dwyer sul New York Times, quando due poliziotti furono colpiti alla schiena più volte mentre ritornavano verso la loro auto, dopo aver risposto a una chiamata.

Milano. In un istante di violenza, New York è ripiombata nel 1971, scrive Jim Dwyer sul New York Times, quando due poliziotti furono colpiti alla schiena più volte mentre ritornavano verso la loro auto, dopo aver risposto a una chiamata. Accadeva sulla 155esima strada, vicino al Macombs Dam Bridge di Manhattan. Sabato, Ismaaiyl Brinsley ha sparato alla sua fidanzata a Baltimora e poi è andato a Brooklyn e ha ucciso nella loro auto due poliziotti, Wenjian Liu, trentaduenne sino-americano, e Rafael Ramos, quarantenne di origine portoricana. Brinsley, che aveva 28 anni ed era stato arrestato venti volte (e ha fatto due anni di prigione per aver sparato in strada, con una pistola rubata, in Georgia), si è infine ucciso. Mentalmente instabile, isolato dalla famiglia, il ragazzo ha postato prima di sparare su Instagram il suo obiettivo: “I’m Putting Wings On Pigs Today They Take 1 Of Ours...... Let’s Take 2 of Theirs #ShootThePolice”. La follia di un uomo si è così incuneata nella frattura della New York di oggi, dell’America di oggi, tra le forze dell’ordine che sparano a cittadini inermi – a Ferguson e a Staten Island – e vengono assolti per legittima difesa e cittadini, neri soprattutto, che non si sentono protetti dalla polizia, ma anzi si sentono minacciati. E a New York, che è diventata negli anni Novanta il simbolo della lotta alla criminalità con metodi durissimi e criticati – la tolleranza zero di Rudy Giuliani – questa frattura precipita nel rapporto difficile tra la polizia e il sindaco Bill De Blasio, il primo sindaco liberal che la città più liberal d’America ha eletto negli ultimi vent’anni. “Ha le mani insanguinate”, dice il sindacato dei poliziotti, mentre gli agenti voltano le spalle al sindaco in visita all’ospedale, e alcune fonti raccontano che ci vorrà un mediatore serio, ora, per far parlare di nuovo De Blasio e la polizia.

 

I poliziotti, che già nelle scorse settimane avevano fatto circolare un appello in cui chiedevano, in caso di uccisione di uno di loro, di non far andare De Blasio ai funerali, dicono che il sindaco si è speso molto più per le proteste contro la polizia sempre più corpose e frequenti che per difendere le forze dell’ordine. Bill Bratton, capo della polizia di New York nominato da De Blasio (ha sostituito Ray Kelly, padre-padrone del Nypd che oggi accusa senza remore il sindaco) e che non più di un mese fa era stato ricoperto di vernice rosso-sangue durante una manifestazione, oggi dice che c’è molta sfiducia tra il dipartimento e De Blasio, che lui era già in servizio negli anni Settanta e gli pare di vivere la stessa tensione, che però conosce bene il sindaco e le sue intenzioni, che comprendono i 400 milioni di dollari extrabudget stanziati per la formazione della polizia (anche se a 10 mila “cops” sono stati tagliati i benefit, e quindi sono piuttosto arrabbiati). Bratton difende il sindaco insomma, contro il gesto “inappropriato” degli agenti che voltano la schiena, e lega la follia del ragazzo che spara ai poliziotti al clima creato dalle proteste. Che è la stessa strada percorsa, con più o meno grazia, da Rudy Giuliani (aggraziato) e dall’ex governatore George Pataki (brutale, pare si voglia candidare alle presidenziali nel 2016) che parlano di una “propaganda anti polizia” che da De Blasio sale su al ministro della Giustizia Eric Holder fino al presidente Barack Obama.

 

[**Video_box_2**]Ora De Blasio chiede unità, pur avendo fatto della riforma della polizia la sua principale battaglia politica, e conta sulla sua capacità di andare oltre il populismo – che rimbomba nella cassa di risonanza dei social media – e sanare la frattura. C’è chi dice che soltanto l’intermediazione del cardinale Dolan potrà fare qualcosa, nella New York delle fratture, anche se è chiaro che non si tratta solo di una questione locale: come dimostra anche il dibattito sul report delle torture, in scala più ampia e più deviata, c’è un problema tra gli americani e il loro bisogno di sicurezza.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi