Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

Gli euroesami non finiscono mai

Marco Valerio Lo Prete

L’Eurogruppo, il time out politico per Roma, l’eccezione francese. L'aggiustamento strutturale previsto dalla legge di stabilità  è inferiore a quello dovuto in base agli accordi comunitari, ma pesa la congiuntura economica.

Roma. Ieri, terminata la riunione dei ministri delle Finanze dei paesi dell’Eurozona, il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, si è mostrato soddisfatto. Nel comunicato finale dell’Eurogruppo che si è riunito per esprimersi sulle bozze delle leggi di bilancio per il 2015, compare infatti la formula “additional measures”, cioè “misure aggiuntive”, ma essa non è mai direttamente associata al nostro paese. Vittoria su tutto il fronte, dunque? Più realisticamente, confermando il giudizio della Commissione per l’Italia, i ministri dell’Eurozona concedono un time out politico a Roma. Da una parte insistono sul fatto che l’aggiustamento strutturale previsto dalla legge di stabilità del governo Renzi è inferiore a quello dovuto in base agli accordi comunitari: la correzione dei conti vale lo 0,1 per cento del pil, mentre dovrebbe essere dello 0,5 (così implicitamente non vengono riconosciuti nemmeno gli sforzi aggiuntivi comunicati dal governo dopo i primi rilievi critici di Bruxelles). Dall’altra parte però gli stessi ministri dell’Eurozona tengono conto della congiuntura peggiore del previsto e dell’inflazione “molto bassa” che complicano la riduzione del debito pubblico, concludendo che “misure efficaci sarebbero necessarie per consentire un miglioramento dello sforzo strutturale”. “Misure efficaci”, appunto, e non “misure aggiuntive” come quelle richieste alla Francia che, a differenza dell’Italia, è lungi dal rispettare il tetto del 3 per cento per il rapporto deficit pubblico/pil, dunque si trova ancora nel “braccio correttivo” del Patto di stabilità e crescita e non in quello “preventivo”.

 

Tweet di sintesi di Padoan, in 140 caratteri: “Anche Eurogruppo apprezza agenda riforme dell’Italia. Effetti sulla nostra economia dipendono da implementazione efficace e tempestiva”. Dalla riunione di ieri è infatti emersa la conferma che una decisione definitiva sulla legge di stabilità italiana – bocciatura o promozione che sia – sarà presa soltanto in primavera, alla luce di nuove evidenze statistiche e nell’attesa di valutare ulteriori riforme che potranno arrivare. Aver evitato il riferimento esplicito alle “misure aggiuntive”, secondo ambienti del Tesoro, è la dimostrazione di una lettura “più politica” e meno robotica delle regole vigenti. Per un paese che si è impegnato a rimanere sotto il 3 per cento del rapporto deficit/pil, più che i decimali di correzione dei conti peserà dunque la radicalità delle riforme. Non a caso Padoan, intervistato ieri dalla Welt, ha detto che “il Patto di stabilità è flessibile a sufficienza”. Per Palazzo Chigi siamo di fronte a un nuovo corso della Commissione Ue, da leggere in tandem con i primi segnali sugli investimenti arrivati dal presidente Jean-Claude Juncker. Un equilibrio sembra per il momento raggiunto, dunque, ma già ci si chiede se reggerà all’eventuale sforamento del rapporto deficit/pil che a marzo potrebbe essere generato da ulteriori cadute del pil.

 

Da Via XX Settembre tendono a minimizzare anche le uscite della cancelliera Angela Merkel, quelle del fine settimana in cui ha giudicato “non sufficienti” le riforme di Roma e Parigi. Padoan alla Welt, a una domanda sulle condizioni della Francia, ha detto di non voler commentare la situazione di altri paesi. Sulla Germania però non ha fatto a meno di ricordare che anche per la prima della classe la Commissione ha esplicitato più volte una richiesta: ridurre l’avanzo delle partite correnti spingendo maggiormente sugli investimenti. Difficile però che domani, sui giornali tedeschi, si leggano titoli sull’invasione di campo. 

 

[**Video_box_2**]Una lettura possibile delle ultime dichiarazioni merkeliane – oltre a quella che interpreta tutto come una manovra a uso politico interno – punta invece più a nord e più a ovest di Roma, cioè a Parigi. Non (sol)tanto perché il presidente della Repubblica, François Hollande, si prende qualche libertà di troppo andando a dialogare con Putin e così mette in dubbio la guida tedesca delle trattative con Mosca. Piuttosto Parigi, secondo tutti gli standard, è diventata la capitale dell’Eurozona irriformabile per eccellenza. Domani il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare la “Loi Macron”, dal nome del ministro socialista più riformista del bigoncio: dentro c’è qualche liberalizzazione e il diritto di lavorare anche la domenica. Acqua fresca per Merkel, e soprattutto per quel pezzo di establishment tedesco che già è in ebollizione per il “regalo” all’Europa del sud in arrivo da parte della Banca centrale europea, sotto forma di acquisti di titoli del debito pubblico. E conta poco il fatto che, per gli analisti di Royal Bank of Scotland, la Germania sarà il paese che più si avvantaggerebbe dalle nuove mosse di Draghi.

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