Il regista inglese Ken Loach (foto Ap)

Ken & Susy

Luciano Capone

Loach, Camusso e l’inferno creato da Thatcher. “La deregolamentazione del mercato del lavoro è stata un disastro", dice il regista inglese. Si stava peggio quando si stava meglio.

Un uomo è venuto dal futuro e ci ha raccontato come sarà terribile il mondo dopo la riforma del mercato del lavoro, quell’uomo è Ken Loach. Il celebre regista britannico di sinistra-sinistra, ospite a “Di martedì” di Giovanni Floris, ha parlato dello scenario apocalittico che ci attende se dovessimo toccare i diritti dei lavoratori come ha fatto nel Regno Unito quella strega di Margaret Thatcher: “La deregolamentazione del mercato del lavoro è stata un disastro. Ci sono persone che scelgono tra soffrire il caldo o la fame, non sanno se otterranno una paga e non hanno limiti all’orario di lavoro. C’è solo povertà, sfruttamento e disperazione”.
La descrizione dell’inferno britannico è condivisa da Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che gli contrappone il modello italiano, quello con lo Statuto dei lavoratori e l’articolo 18, roba che gli inglesi si sognano. L’unico aspetto su cui i due divergono è la somiglianza tra Renzi e la Thatcher, indicata più volte dalla Camusso e smentita da Loach: “Somiglia più a Tony Blair”, dice il regista, forse perché la Lady di Ferro l’articolo 18 l’avrebbe abolito subito e per tutti, e trent’anni fa, ma in fondo non fa molta differenza perché “la Thatcher è stata brutale e lo è stato anche Blair”. Il loro scopo era quello di impoverire le persone e “rendere i lavoratori facili da sfruttare”, analisi su cui anche la Camusso conviene.

 

A dissentire però è la realtà che, forse per pregiudizio ideologico, si ostina a smentire le affermazioni del regista e della sindacalista. I dati dell’Office for National Statistics (Ons), l’Istat britannico, ci dicono che il tasso di occupazione nel Regno Unito è al 73 per cento, mentre in Italia, dove il sindacato cerca di sventare la deregulation liberista è al 56 per cento, circa 20 punti in meno. Stesso discorso per la disoccupazione, sotto il 7 per cento in Gran Bretagna contro il doppio (13,2 per cento) in Italia. L’occupazione però non ci dice tutto, perché può darsi, come sostiene il regista, che le persone facciano lavori da schiavi, sfruttati e sottopagati. Ma anche su questo punto la realtà, tramite l’Ons, si permette di dissentire dal maestro. L’ente statistico ha confrontato gli stipendi dei baby-boomer, quelli che in Inghilterra hanno iniziato a lavorare nel 1975, gli anni dei governi socialisti e del massimo fulgore dello stato assistenziale beveridgiano, con quelli dei loro coetanei che hanno iniziato a lavorare nel 1995, subito dopo il ciclone Thatcher. Risultato: i figli guadagnano il 40 per cento in più dei padri. In quel mondo in bianco e nero, descritto con nostalgia da Ken Loach nel suo “The Spirit of ’45”, in cui lo stato accompagnava i cittadini dalla culla alla tomba passando per la miniera, le persone erano più povere. Si stava peggio quando si stava meglio.

 

[**Video_box_2**]E, a dispetto delle roboanti parole contro la monetizzazione dei diritti della Camusso, che in Gran Bretagna le cose vadano meglio lo sanno anche i lavoratori italiani, quelli che non hanno né moneta e né diritti. Solo lo scorso anno 13 mila italiani hanno abbandonato il paradiso dell’articolo 18 per trasferirsi nell’inferno liberista di Thatcher, Blair e Cameron, il 70 per cento in più rispetto all’anno precedente. E’ possibile che agli occhi di una sindacalista rossa e di un regista in bianco e nero sia una scelta inspiegabile, ma migliaia di lavoratori italiani vanno in Inghilterra a fare le cose più disparate: università, camerieri, finanzieri nella City, giornalisti, impiegati. Il loro Jobs Act lo hanno votato con i piedi prima che il Parlamento lo faccia con le mani. E riescono a trovare lavoro e a costruirsi un futuro senza l’aiuto della famiglia, senza una raccomandazione dei politici locali, spesso senza conoscere la lingua. E anche senza l’articolo 18, ma d’altronde vanno lì per monetizzare.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali