Il regista Mike Nichols

Mike Nichols

Annalena Benini

Le parole sono secondarie e i segreti sono primari. Questo è ciò che mi interessa di più”, disse Mike Nichols in un’intervista di quasi cinquant’anni fa. Sono i segreti delle persone che si muovono in una stanza, si guardano, parlano, si innamorano oppure smettono di amarsi, decidono di tradirsi.

Le parole sono secondarie e i segreti sono primari. Questo è ciò che mi interessa di più”, disse Mike Nichols in un’intervista di quasi cinquant’anni fa. Sono i segreti delle persone che si muovono in una stanza, si guardano, parlano, si innamorano oppure smettono di amarsi, decidono di tradirsi o di rinfacciarsi tutto. Quelli che credono al colpo di fulmine, “chi ama a prima vista tradisce al primo sguardo”, quelli che hanno bisogno di dirsi la verità e distruggersi, quelli che hanno imparato a litigare a lungo, e a goderne, guardando “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, con Liz Taylor e Richard Burton. Quelle che si sono allenate nello sfilarsi le calze con “Il laureato”, e hanno compreso, alla terza o quarta visione, lo sguardo finale di Dustin Hoffman, che è riuscito a scappare con la sposa di un altro: lui dovrebbe essere felice, per sempre felice, è lei la donna che ama ed è accanto a lui sull’autobus vestita da sposa, ma in quella faccia di attore sconosciuto (era il 1967) c’è un’età adulta che non arriva (arriverà mai?), c’è la possibilità di altre fughe o nuovi pentimenti. Mike Nichols ha raccontato in modo potente (facendo ridere e piangere, infilandosi nell’animo umano con leggerezza e precisione) le relazioni, i matrimoni, la necessità dell’inganno, ma soprattutto il bisogno assoluto che abbiamo gli uni degli altri, con tutte le meschinerie e gli abbagli che ci scambiamo, con il brivido della conoscenza carnale. Che è il titolo di un altro film, con Jack Nicholson, Candice Bergen e Art Garfunkel (di Simon & Garfunkel), fondamentale nella formazione dei sentimenti, e del cinismo. In un elenco dei film necessari a vent’anni, per prendere le misure del mondo, “Conoscenza Carnale” c’è. E c’è naturalmente “Il laureato” (vinse l’Oscar”), c’è “Affari di cuore” (“Se volevi la monogamia, dovevi sposare un cigno”: è il film tratto dal romanzo di Nora Ephron e interpretato da Meryl Streep, racconta la fine del matrimonio per i tradimenti di Carl Bernstein/Jack Nicholson). E c’è “Closer”, il penultimo film di Mike Nichols, del 2004 (con la scoperta delle chat), in cui ci si tradisce, ci si dice la verità, anche, ci si odia perché bastava dire una bugia, ci si affida completamente all’incostanza della passione.

 

Mike Nichols, che si è sposato quattro volte e ha avuto molte vite e moltissimi premi (anche uno come miglior mangiatore di torte), ha raccontato l’impossibilità che sia per sempre, o almeno che sia sempre uguale, sempre limpido, senza ombre. Ha raccontato quante cose contemporaneamente è in grado di pensare e dire un essere umano, e quanto queste cose siano in contraddizione fra loro, e dunque interessanti. Se molto ha origine dal tradimento, come ha raccontato Amoz Oz in “Giuda”, e se il tradimento spesso non è altro che un incompreso cambio di prospettiva, Mike Nichols è stato il regista brillantissimo e mai superficiale dei cambi di prospettiva che muovono il mondo, magari soltanto dentro un appartamento, di fronte a una fotografia, o a una possibilità di carriera (tra i film fondamentali a vent’anni, e anche dopo, c’è “Working Girl” con Melanie Griffith, e c’è la battuta che da allora tutti ripetiamo, anche insensatamente, in qualunque occasione, “Caffè, tè, me?”).

 

[**Video_box_2**]“Credo che il mio soggetto siano i rapporti fra uomini e donne, incentrati sul letto”, disse Nichols decenni fa, quando non aveva ancora messo in scena, settantenne, “Closer”, assolutamente feroce, incentrato sui letti senza mostrarli mai, ma usando solo le parole e gli sguardi, e quella canzone di Damien Rice a cui ha affidato tutto il romanticismo, per non doverne spargere più. “Un bell’inganno piace a tutti”, dice uno dei personaggi, ed è così: l’inganno della ragazza in carriera, l’inganno della memoria (in “A proposito di Henry”), gli inganni che muovono le storie. Perfino l’inganno dei capelli, che Mike Nichols perse a quattro anni a causa della vaccinazione contro la pertosse. “Ero un bambino calvo e senza amici”. Indossò una parrucca per il resto della vita.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.