Manuel Ginobili, Tim Duncan e Tony Parker in panchina a San Antonio

Il turnover "sindacale" a San Antonio fa arrabbiare l'Nba

Eugenio Cau

Coach Popovich osa lasciare in panchina le sue stelle a riposare. Il sindacato gli dà ragione, ma la gente vuole solo spettacolo. Perché un quasi agente della Cia e un'avvocatessa possono cambiare il basket americano.

Quando la settimana scorsa i tifosi dei Rockets, la squadra di basket di Houston, sono entrati nel Toyota Center per la partita contro gli Spurs di San Antonio, derby texano trasmesso dalla tv nazionale, hanno trovato una brutta sorpresa. Cinque dei migliori giocatori degli Spurs, i campioni Nba in carica, non avrebbero giocato la partita. Tre di questi, tra cui l’italiano Marco Belinelli, erano fuori per infortunio, ma per due delle stelle della squadra, Tim Duncan e l’argentino Manu Ginobili, le ragioni erano prosaiche. “Riposo”, c’è scritto nel comunicato inviato dagli Spurs. Tim e Manu sono due veterani, due che hanno già fatto la storia del basket, ma adesso che non sono più dei ventenni gli Spurs hanno deciso di preservare le loro forze, di tenerli in panchina ogni tanto, almeno nelle partite che non è un problema perdere. E gli Spurs contro i Rockets hanno perso, anche malamente, 98 a 81. Ma poco importa, dicono dalla squadra, il campionato è lungo e durissimo, ce lo possiamo permettere, e pace se i tifosi sono delusi, pace se quelli della tv sono inferociti e gli sponsor ci vorrebbero morti.

 

 

L’allenatore degli Spurs, Gregg Popovich, non è nuovo a queste uscite. Popovich, origini serbe e croate, faccia butterata da agente del Kgb, studi nella Air Force Academy e carriera che se non ci fosse stato il basket sarebbe andata a sfociare nella Cia, è l’allenatore più vincente in attività. E’ una colonna della Nba, un allenatore star e uno dei suoi volti più riconoscibili, ma è anche uno dei disruptor della lega, uno che pensa prima al gioco e poi allo spettacolo, prima alla vittoria e poi agli sponsor. E questo, per la Nba del nuovo millennio, può essere un problema. Popovich lascia spesso i suoi migliori giocatori a riposare in panchina. Il nucleo storico degli Spurs, composto da Duncan, Ginobili e dal francese Tony Parker, è sempre lo stesso da oltre dieci anni, e i Big Three iniziano a sentire il peso degli anni. Ma Popovich ha una panchina profondissima, ha seconde, terze e perfino quarte scelte per ogni ruolo, ha una capacità quasi soprannaturale di scovare talenti eccezionali in giocatori sottovalutati e soprattutto sa gestire le sue stelle. Per questo riesce a vincere con un gruppo di giocatori che erano già dei professionisti quando i giovani leoni di oggi facevano ancora le medie.

 

 

[**Video_box_2**]Lasciare in panchina la tua stella per ragioni banali come il “riposo”, negare allo spettatore pagante il piacere di vedere i dribbling di Parker e gli appoggi perfetti di Duncan, va contro tutta la narrativa dell’eroismo, del sacrificio e dello show a tutti i costi su cui si basa lo sport professionistico americano. “Quando giocavo io, non c’erano giorni di riposo”, ha detto al New York Times Scott Brooks, ex professionista, ora allenatore a Oklahoma. “Era un codice d’onore: devi giocare ogni partita e allenarti tutti i giorni”. L’Nba si nutre del mito del giocatore che non salta mai una partita, di quello che gioca anche da malato, anche da infortunato. Gestire le proprie forze, anche se questo ti porta alla vittoria finale, è da pavidi, è una ferita inferta al mito. Non che gli Spurs si risparmino, l’etica lavorativa di uno come Duncan è leggendaria. Ma per vincere, e per vincere con dei campioni ultratrentenni, devi saper scegliere le partite che vuoi perdere. Devi usare la tattica, e coach Pop, uno che ha fatto della disciplina militare applicata al basket un’arte, la tattica sa come usarla. A essere minacciato dalle sua scelte, più che altro, è il sistema di business dell’Nba, perché se Ginobili non gioca le sue magliette si vendono meno, se Duncan non c’è gli ascolti calano, se Parker è in panchina gli spazi pubblicitari perdono valore. Nessuna regola ufficiale impedisce a Popovich di gestire come vuole la sua squadra, ma nel 2012, la prima volta che lasciò in panchina i Big Three in una partita attesa (e trasmessa in diretta televisiva nazionale), contro i Miami Heat di Lebron James, gli Spurs furono costretti a pagare 250 mila dollari di multa. Il mese scorso, quando Popovich l’ha rifatto a Phoenix, il proprietario dei Suns si è scusato con gli spettatori presenti (“Questo non è lo spettacolo per cui avete speso i vostri soldi guadagnati con fatica”, ha detto) e ha offerto loro un rimborso parziale del biglietto sotto forma di sconti in gadget e merchandising.

 

 

Quello che preoccupa di più l’Nba è che l’approccio tattico di coach Pop si sta diffondendo. I Cavaliers di Cleveland, i più forti pretendenti al trono degli Spurs hanno fatto capire quest’anno che cercheranno di centellinare i loro giocatori più forti durante la stagione regolare. “Questa è una maratona, non è uno sprint”, ha detto l’allenatore David Blatt, che da quest’anno ha iniziato a far riposare le stelle della squadra, tra cui LeBron James, il giocatore più forte in attività, beniamino e figliol prodigo di Cleveland. L’anno scorso James (che allora giocava a Miami) ebbe un tracollo notevole nella finale di campionato contro gli Spurs, e quest’anno vuole evitare che la cosa si ripeta. Nella partita di stasera contro Boston, ha annunciato Blatt, tutti e tre i migliori giocatori della squadra (James, Kevin Love e Kyrie Irving) resteranno in panchina.

 

I crampi che hanno penalizzato LeBron James nella finale Nba dell'anno scorso

 

Molte cose stanno cambiando nello showbusiness del basket americano, dove lo sport e l’intrattenimento e gli affari si sono sposati decenni fa e ormai sono indistinguibili gli uni dagli altri. Lo mostra bene la gran intervista rilasciata ieri da Michele Roberts, la capa del sindacato dei giocatori, alla Espn. Roberts, eletta quest’estate, è già da sola un personaggio rivoluzionario dentro la Nba. E’ la prima donna a detenere la sua carica, ed è la prima donna a detenere una qualsiasi carica di potere dentro la lega. E’ afroamericana, è un avvocato di gran talento ed è una lottatrice pazzesca. Con la Espn la Roberts ha messo in dubbio molti vecchi dogmi, dalla divisione dei guadagni del business sportivo (adesso sono divisi a metà tra giocatori e proprietari delle squadre, dopo una contrattazione durissima che nel 2011 bloccò perfino il campionato. La risposta della Roberts è stata questa: “Perché i proprietari non si giocano metà delle partite?”), ai limiti di spesa per le squadre, ai limiti d’età per i giovani professionisti. Si è espressa anche sulla necessità di preservare i giocatori, non con le tattiche di coach Pop, ma abbattendo un’altro tabù, quello della lunghissima durata del campionato, 82 partite spesso giocate senza giorni di pausa più, per chi ci arriva, più le terribili settimane dei playoff, trasferte in giro per l’America, lunghe ore di aereo, jet-lag: “Ogni volta che un giocatore si infortuna penso, Dio, stanno davvero portando al limite i loro corpi”, ha detto la Roberts. “Per cui la risposta è, ovviamente, che tutti vogliono una stagione più corta. Il problema è: questo significa meno soldi? E’ qualcosa di cui dobbiamo parlare e pensare… ma non penso che accorciare la stagione danneggerebbe il gioco”. La stagione così lunga garantisce alla lega molte partite quotidiane, e una fonte di guadagni costante per buona parte dell’anno. Molti giocatori hanno chiesto di ridurre il numero delle partite, gli ultimi sono stati LeBron James e la stella di Dallas Dirk Nowitzki, ma la dirigenza ha sempre fatto finta di non sentire, e dopo l’intervista della Roberts il commissioner della Nba Adam Silver ha emesso un comunicato di disaccordo nettissimo. Se proprio bisogna rompere dei tabù, ha scritto oggi Silver in un op-ed pubblicato sul New York Times, rompiamo quello delle scommesse. Oggi in America è illegale scommettere sulla Nba, ma sai che guadagni arriverebbero se si potesse?

 

L’alleanza di fatto tra i tatticismi di coach Pop che stanno diventando sempre più popolari e gli strali della Roberts è un fenomeno interessante dentro al gran circo della Nba. Cambiano i rapporti con i giocatori, che come avviene in molti altri settori stanno facendo di se stessi un marchio (più ancora di quanto non succedesse nei decenni passati), cambia l’ethos del gioco, forse cambieranno le regole. A sorvegliare il processo, un’avvocatessa e un quasi agente della Cia.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.