Anziane spose sudcoreane attendono la celebrazione dei loro matrimoni presso la Chiesa dell'Unificazione di Asan (foto AP)

Corea, un paese per soli vecchi

Giulia Pompili

Entro il 2028, secondo le Nazioni Unite, l’India potrebbe superare la Cina e diventare il paese più popoloso al mondo. Oltre 1,2 miliardi di persone, la metà sotto i venticinque anni. E’ l’inarrestabile crescita demografica del subcontinente indiano uno dei motivi della frenata economica della regione.

Roma. Entro il 2028, secondo le Nazioni Unite, l’India potrebbe superare la Cina e diventare il paese più popoloso al mondo. Oltre 1,2 miliardi di persone, la metà sotto i venticinque anni. E’ l’inarrestabile crescita demografica del subcontinente indiano uno dei motivi della frenata economica della regione. Dall’altra parte dell’Asia, due potenze che si affacciano sul mar del Giappone stanno affrontando il problema opposto, ma che sta facendo emergere le stesse criticità economiche. Ieri al nono Vertice dell’Asia orientale di Pechino, il primo ministro indiano Narendra Modi e il primo ministro giapponese Shinzo Abe hanno confermato un’alleanza strategica di ferro. E uno dei motivi dell’intesa tra Tokyo e Nuova Delhi è che in Giappone, dove la popolazione è in declino inarrestabile e sta invecchiando sempre di più, c’è bisogno di forza-lavoro. L’India, invece, ha bisogno di trovare un’occupazione all’enorme numero di giovani disoccupati.

 

Da dieci anni in Giappone il numero di morti ogni anno supera quello dei nati. Nel 2013, secondo i dati del ministero della Salute di Tokyo, sono stati messi al mondo 7.431 bambini in meno rispetto all’anno precedente, e il numero dei neonati si è fermato a poco più di un milione. Attualmente i ragazzi sotto i quindici anni rappresentano il 12,8 per cento della popolazione, niente in confronto alle nuove generazioni di America (19,5 per cento) e Cina (16,4 per cento). Entro il 2060 il Giappone potrebbe arrivare a una popolazione totale di 86 milioni di persone, il 40 per cento dei quali over 65. I motivi di questa inarrestabile eutanasia demografica sono molti. Una donna che fa figli, nel civile paese del Sol levante, è spesso allontanata dal mondo del lavoro. E’ per questo che Shinzo Abe sta puntando tutto sulla Womenomics: aiutare le donne a non scegliere tra una vita professionale e quella della maternità e farle tornare a occupare quei posti di lavoro che mancano. Ma se un paese si abitua a vivere senza bambini si adatta anche a essere un posto baby-free. In Giappone mancano i ginecologi e i pediatri. I governi di Tokyo, nel corso degli anni, hanno “dimenticato” il problema degli asili nido e dei luoghi d’assistenza per i bambini. Abe ha annunciato che entro il 2017 ci saranno 400 mila posti d’asilo in più, per quella che il Wall Street Journal ha chiamato la sua “Babynomics” in un’intervista alla ministra Masako Mori, che guida il dicastero per il Declino demografico.

 

[**Video_box_2**]Qualche mese fa in Corea del sud è stato diffuso dai giornali uno studio del Centro ricerche dell’Assemblea nazionale di Seul. Secondo il rapporto, se la Corea non farà nulla per contrastare la decrescita demografica, i sudcoreani saranno estinti entro il 2750. E la colpa è delle politiche per il controllo delle nascite degli anni Sessanta. Secondo un altro studio di Statistics Korea, nella capitale sudcoreana il tasso di natalità quest’anno è sceso ai minimi: in pratica ogni donna di Seul ha dato alla luce 0,968 figli lo scorso anno, un dato molto lontano dalla media di 2,1 figli per donna che serve a mantenere costante il dato demografico. “La Corea del sud è il settimo più grande paese commerciale del mondo”, scrive Danny Leipziger sul Diplomat “e una delle più importanti storie di successo economico degli ultimi cinquant’anni. Ma rischia un futuro tetro, in primo luogo a causa della demografia. La popolazione è in calo dell’1,2 per cento ogni anno – il declino più veloce tra i paesi Ocse”. Alcuni dei motivi della decrescita demografica sudcoreana coincidono con quelli del Giappone, altri sono più specifici: “Il livello di indebitamento delle famiglie è enorme”, spiega Leipziger, e larga parte di quello che resta (circa il 10 per cento dello stipendio) viene speso per l’istruzione. Pochi bambini, ma superistruiti. Nemmeno cinquant’anni fa però, in Corea del sud, il numero medio di figli per donna era di 6,16. “La bomba della popolazione”, era il manifesto degli anni Sessanta del professore di Stanford Paul R. Ehrlich, come ricorda su al Jazeera Andrei Lankov, docente alla Kookmin University di Seul: “Nel 1961, quando il generale Park Chung-hee prese il potere in Corea del sud, la priorità diventò arginare la crescita demografica”. “La sterilizzazione è stata sovvenzionata e incoraggiata”, e mentre le famiglie numerose iniziavano a essere criticate e mal viste, il tasso di natalità in soli quindici anni si dimezzava, fino ad arrivare al livello attuale. Ancora più catastrofico.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.