Agostino Marchetto

Il monsignore censurato

Sua Eccellenza contro lo storico progressista

Matteo Matzuzzi

Nuova puntata del duello Marchetto-Melloni su Concilio e Sinodo. Oops. "Il miglior ermeneuta del Vaticano II" scrive al Corriere della Sera una lettera contro lo storico della Scuola bolognese. Non pubblicata.

Roma. Un anno fa, il Papa regnante dava la palma di “miglior ermeneuta del Vaticano II” al vescovo Agostino Marchetto. Cioè al più severo critico dell’interpretazione progressista del Concilio tramandata nei decenni dalla Scuola di Bologna di Giuseppe Alberigo, “che a differenza di Marchetto qualche laurea honoris causa l’ha avuta”, ricordava su questo giornale Alberto Melloni, disputando proprio con Marchetto in occasione del quarantennale della chiusura del Vaticano II, nel 2005. E il Concilio, ancora oggi, è l’oggetto del contendere. Il 21 ottobre scorso, sul Corriere della Sera, Melloni scriveva che visto quanto s’erano accapigliati i padri al Sinodo sulla famiglia, “il futuro della sinodalità cattolica è dunque iniziato”, notando le similitudini con quanto avvenne il  30 ottobre ’62, quando i voti orientativi sulla ecclesiologia proposti da Dossetti passarono il vaglio dell’Aula e Paolo VI si lasciò andare a un entusiastico  “dunque abbiamo vinto”. Ricostruzione non proprio vera, a giudizio di mons. Marchetto, tanto da indurlo a inviare il giorno stesso al Corriere una lettera in cui osservava come fosse poco elegante ogni riferimento al “voler ipotecare il post Concilio da parte di Paolo VI come se un Papa non dovesse preoccuparsi della corretta ermeneutica e giusta ricezione di un Concilio”. Ma la lettera, sul quotidiano di Via Solferino, non è stata pubblicata: né il giorno dopo né mai.

 

Ecco quanto scriveva mons. Marchetto: “Gent.mo Signor Direttore, assisto in questi giorni di beatificazione di Paolo VI al ‘ricupero’ di tanti che in altri tempi contro di lui hanno scritto e parlato, arrivando a indicarlo come l’affossatore del Concilio Ecumenico Vaticano II. Basterebbe riandare ai 5 volumi della Storia di tale Concilio che si rifanno alla cosiddetta Scuola di Bologna. Se fosse una ‘conversione storica’ non avrei che da rallegrarmene, ma l’articolo, ieri, sul Suo giornale, di Alberto Melloni, mi dice che così non è. Già le avvisaglie ci sono dal come egli tratta la minoranza ‘qualificata’ per quel che concerne la futura ‘Dei Verbum’, che alla fine mette insieme giustamente sacra Scrittura, Tradizione e Magistero, ma ancor più per il riferimento alla proposta di Dossetti per dei voti orientativi sulla ecclesiologia, le cui schede furono fatte distruggere da Paolo VI. Si procedette poi in modo diverso per quanto riguarda la formulazione delle questioni così che le risposte non bloccassero in seguito la normale discussione conciliare. Che poi Paolo VI abbia gioito, dopo la votazione, con un ‘dunque abbiamo vinto’, identificandosi – sembra dal testo – con Dossetti, non risulta fondato (v. il mio volume ‘Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia’, pp. 122-125). Suona male altresì, infine, quel voler ipotecare il post concilio da parte di Paolo VI, come se un Papa non dovesse preoccuparsi della corretta ermeneutica e giusta ricezione di un Concilio, magno in casu. Grato per l’attenzione, auguro ogni Bene, con distinti saluti”.

 

[**Video_box_2**]La Nota esplicativa - Per far capire ancora di più di cosa si sta parlando, mons. Marchetto spiega in una Nota esplicativa i contorni della questione. Compreso l’episodio che vide Paolo VI affermare “categoricamente” di non volere Dossetti nel ruolo di segretario dei moderatori. Scrive, il presule, che “per inquadrare l’episodio della distruzione delle primitive schede sugli orientamenti da prendere in Concilio bisognerà ricordare che i moderatori cominciarono a far da sé, mettendo da parte la segreteria generale, servendosi dell’opera di don Dossetti, che il card. Lercaro presentò come segretario dei moderatori. Felici (segretario generale del Concilio) d’inizio lasciò fare finché il nodo non venne al pettine, in occasione proprio della proposta di votazione sui famosi cinque punti sull’episcopato e il diaconato. Allora mons. Felici protestò con il card. Agagianian, affermando che il segretario dei moderatori a norma del Regolamento era il segretario generale. Egli aggiunse che riteneva nullo quanto fatto da don Dossetti. Lo stesso disse al card. Doepfner. Il Papa, informato della cosa, affermò categoricamente che non voleva Dossetti a quel posto; se ne tornasse anzi a Bologna. In ogni caso quando i moderatori ordinarono a Felici di dare alle stampe i quesiti, egli obbedì, ma contemporaneamente avvertì il card. segretario di stato (il 15 ottobre), il quale informò il S. Padre, che considerò inopportuna la proposta: in breve, i moderatori furono costretti, il giorno seguente, a rimandare la votazione. Nello spazio di due ore i quesiti furono composti, stampati e distrutti. I moderatori peraltro insistettero su una votazione, così la cosa fu deferita alla presidenza e al coordinamento, anche se i moderatori volevano proporla solo al coordinamento. Comunque per le questioni circa la collegialità furono pregati il card. Suenens e il card. Siri di trovare una formula di accordo e proporla alla riunione congiunta. Di fatto i moderatori fecero da sè, così come il card. Siri, e la commissione congiunta non fu più riunita se non dopo che furono proposti i quesiti. I moderatori ottennero un’udienza del Papa, dove la proposta del card. Siri fu presentata come collimante con la loro (“quod verum non erat”). I moderatori dissero poi che il Papa aveva approvato quel testo con le note aggiunte”.

 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.