Matteo Renzi e Angela Merkel (foto LaPresse)

L'uomo di Renzi in Europa spiega perché è ora di abolire la Troika

Claudio Cerasa

La triangolazione tra Parlamento, Bce e governo. Il segnale di Merkel sulla flessibilità. Il progetto di gestione comune del debito. La costruzione di un piano di investimenti pubblico e non solo privato. La diversa opinione sul commissariamento di Moscovici. Dove andrà il nostro governo in Europa?

Roma. Roberto Gualtieri ha quarantotto anni, è romano, europarlamentare del Partito democratico, a Bruxelles è al suo secondo mandato e dall’inizio di questa legislatura, così lo chiamano alcuni economisti che gravitano intorno a Palazzo Chigi, in Europa è diventato “l’uomo che sussurra ai cavilli”. Gualtieri, un tempo dalemiano, corrente giovani turchi, area Orfini, oggi alleato naturale del presidente del Consiglio, in Europa ha una posizione non di primo piano ma comunque cruciale: è il presidente della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo, in Parlamento, è la sponda naturale di Pierre Moscovici, socialista anche lui e commissario europeo per gli Affari economici e monetari della Commissione Juncker, e in Europa è l’italiano che ha maggiori responsabilità operative in campo economico. Intercettiamo Gualtieri ieri pomeriggio dopo il vertice Ecofin tra i ministri dell’Economia e delle Finanze degli stati membri. Il Foglio gli chiede in che modo sarà possibile tradurre in provvedimenti concreti lo slogan – non solo renziano – della fine della stagione dell’austerità. Gualtieri fa notare che in una certa misura il governo italiano oggi certificherà nero su bianco, attraverso il testo della legge di stabilità, una nuova stagione di politica economica: chiedendo formalmente il rinvio del pareggio strutturale di bilancio sia per il 2015 sia per il 2016 (rinvio che, qualora fosse davvero accettato dalla Commissione europea, darebbe la possibilità al governo di mettere a bilancio nel 2015 circa 11 miliardi di euro di spese in più e una cifra di poco superiore per l’anno successivo). La richiesta, naturalmente, dovrà essere approvata dalla Commissione ma, accanto a questa forma di flessibilità espansiva, secondo Gualtieri sarà necessario vigilare per far sì che sia rispettato quello che potremmo definire – per citare il palcoscenico dal quale Mario Draghi ha annunciato la nuova stagione espansiva della Bce – una sorta di Jackson Hole Consensus. “Oggi – dice Gualtieri – una politica economica europea degna di questo nome e capace di portare il continente fuori dalla più pesante stagnazione dal Dopoguerra deve saper combinare tre elementi centrali: politiche fiscali, politiche monetarie e riforme strutturali. Obiettivamente, le partite più importanti sul piano europeo sono quelle che riguardano lo stimolo alla domanda, sia sul lato fiscale sia su quello monetario.

 

Innanzitutto è decisivo il piano di 300 miliardi promesso da Juncker. E il paletto che il nostro gruppo ha posto al presidente è chiaro: noi ci aspettiamo la costruzione di un piano di investimenti addizionali che deve immettere nel mercato risorse fresche, sia private sia pubbliche. E su questo non si può transigere”. Chiediamo a Gualtieri: di questi 300 miliardi, che quota spetterebbe all’Italia? “Parliamo circa del 10 per cento. Circa 30 miliardi. Miliardi che una volta sbloccati potrebbero essere utilizzati per alcuni importanti investimenti produttivi: infrastrutturali e materiali, come i corridoi multimodali europei di trasporto, e immateriali, come la banda larga. In secondo luogo occorre applicare pienamente il Patto di stabilità e di crescita utilizzando le clausole sulla flessibilità che esso prevede. Il Patto di stabilità prevede espressamente la possibilità di deviazioni temporanee dal pareggio di bilancio di fronte a circostanze eccezionali e a riforme strutturali rilevanti come ad esempio quelle su cui è impegnato il governo italiano. Noi pensiamo che si debba anche andare oltre, riprendendo e ampliando quella ‘clausola degli investimenti’ che consentirebbe lo scorporo di una parte del cofinanziamento dei fondi europei dal deficit strutturale, che la Commissione Barroso ha prima concesso per poi sostanzialmente rimangiarsi. Da questo punto di vista le recenti parole di Angela Merkel, anche se non vanno sopravvalutate, rappresentano un segnale importante. Infine – prosegue Gualtieri – bisogna rafforzare il coordinamento delle politiche economiche degli stati membri, e usare in modo più incisivo strumenti di cui già disponiamo. Ad esempio per favorire un aumento della domanda interna in paesi che, come la Germania, hanno sistematicamente un attivo commerciale superiore alla soglia di guardia, già piuttosto alta, prevista dalla normativa europea. Questi passi avanti si devono collocare nel solco di un approccio complessivo che dia vita agli elementi di un vero e proprio governo economico europeo, che in prospettiva dovrà essere dotato di competenze e risorse adeguate a sostenere una moneta comune. D’altronde le vicende degli ultimi anni hanno dimostrato che l’unica istituzione che si è rivelata all’altezza degli eventi è stata l’unica istituzione ‘federale’ di cui disponiamo, cioè la Bce”.

 

[**Video_box_2**]Domanda: ma cos’altro può fare realisticamente la Bce? “Noi auspichiamo che i nuovi programmi di rifinanziamento di lungo termine ‘mirato’ (Tltro) e di acquisto di crediti cartolarizzati (Abspp) si rivelino efficaci, ma non escludo che occorra andare oltre e prevedere anche l’acquisto massiccio di titoli di stato e di altre attività finanziarie. In questo senso l’istituzione di un Fondo europeo per gli investimenti, magari alimentato dalle risorse dell’Esm, che emetta bond, potrebbe fornire potrebbe fornire una categoria di asset genuinamente europea alla Bce”. Gualtieri, infine, contesta la teoria che il nuovo responsabile Economia della Commissione sia sostanzialmente commissariato da falchi del rigore come Valdis Dombrovkis (lettone, commissario per l’Euro, vicepresidente della Commissione) e Jyrki Katainen (finlandese, commissario per gli Investimenti, vicepresidente della Commissione) – “non sarà così perché pur avendo diritto di veto sono commissari senza portafogli e non avendo deleghe specifiche in materia economica e monetaria non potranno avere troppa influenza. Ammette, però, che l’attuale equilibrio del Parlamento (dove i conservatori sono comunque maggioranza) e quello nel Consiglio avrà una certa influenza nell’orientare alcune partite importanti come per esempio la Tobin Tax, che l’europarlamentare del Pd ammette che potrebbe entrare in vigore con una riduzione di portata. E alla fine, convinto che questa legislatura sia l’occasione giusta per mostrare una discontinuità rispetto al passato – e in effetti in questa legislatura anche se non lo si può dire esplicitamente di fatto i partiti stanno riscrivendo il fiscal compact – Gualtieri arriva a formulare una proposta significativa. Un modo come un altro per dimostrare che anche l’Europa ha deciso di farla finita con la stagione dei tecnici. “Dobbiamo abolire la Troika – conclude Gualtieri – e attribuire le funzioni di verifica delle condizionalità connesse agli aiuti finanziari alla Commissione europea sotto il controllo del Parlamento. I tempi per farlo ci sono, e anche Juncker ha detto cose importanti in tal senso. Sarebbe un segnale importante. La fine di un’epoca, l’inizio di un’altra”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.