Le lenti a contatto progettate da Google (foto LaPresse)

La Silicon Valley è a rischio bolla, dice la Silicon Valley

Pietro Minto

Miliardi a pioggia, investitori pronti a puntare su (quasi) qualsiasi progetto innovativo, start up che partono ma che non giungono a risultati commerciali apprezzabili. E quel pensiero che torna all'Anno maledetto, il 1999, nel quale vennero a galla tutti gli investimenti assurdi in nome del dot com.

Lo scorso giugno l’app Yo ha ricevuto un milione di dollari di finanzamento da alcuni investitori. In questi tempi in cui i portafogli di silicio sono gonfi e più che mai aperti, un milione di dollari non è granché ma è un’immensità se si tiene conto che l’unica funzione di Yo è quella di mandare uno “Yo” ai propri amici.

 

E che dire di Clinkle, la start up segretissima fondata dal ventenne Lucas Duplan, finanziata con 30 milioni di dollari dai maggiori investitori digitali? Doveva cambiare per sempre il nostro rapporto con il denaro, sconvolgere i portafogli e le carte di credito di tutto il mondo. Dopo anni di assunzioni celebri (tra cui Barry McCarthy, ex CFO di Netflix), annunci esorbitanti e attesa spasmodica, il tutto è sfumato in una serie di licenziamenti e dimissioni, una buona dose di vergogna generale e…l’ennesimo prodotto che potrebbe (ma anche no) potenziare la vostra carta di credito.

 

Si tratta di due dei tanti investimenti che potremmo definire azzardati per amore dell’eufemismo, una goccia nel mare di dollari che i venture capitalist (VC) californiani hanno versato nel corso degli ultimi anni gonfiando le quotazioni di molti prodotti. Come ha notato Nitasha Tiku su Valleywag – blog di Gawker dedicato alla Silicon Valley – “10 miliardi di dollari sono il nuovo un miliardo di dollari”. Ovvero: la cifra massima che fino a qualche anno decretava l’investimento dell’anno o forse del decennio, si è decuplicata, diventando la nuova normalità a cui ci stiamo abituando. E c’è di cui preoccuparsi.

 

Qualcuno la chiama bolla e tende le orecchie alla California per prevederne lo scoppio, e fino a qui niente di nuovo. La cosa straordinaria è che gli ultimi richiami all’austerity per i figli di Mark Zuckerberg sono venuti proprio dai VC, ossia le persone che hanno gonfiato questa presunta bolla.

 

[**Video_box_2**]La prima campanella d’allarme è stata suonata da Bill Gurley – investitore di Snapchat e altre società – in un’intervista al Wall Street Journal in cui ha confessato che “la Silicon Valley in generale e la comunità di start up e VC si sta prendendo un rischio eccessivo”, con la continua pioggia di milioni (e miliardi) investiti quasi a strascico in sempre più progetti. Gurley ha arricchito la sua profezia nominando l’Anno Maledetto, quando ha spiegato come queste operazioni “siano da una parte meno folli di quelle del ‘99 e da una parte ancora più assurde di quelle del ‘99”. Nell’epica startuppara il 1999 è un anno dai significati profondi, quando il sole dell’avvenire digitale si è offuscato per parecchi anni, portando a galla i molti investimenti gonfiati e assurdi (Pets.com vi dice qualcosa?) fatti in nome del dot com. Ma i segnali arrivano anche dal mattone, secondo Gurley: vista la facilità con cui si racimolano milionate, le città della Valley hanno subito una pesantissima gentrificazione che ha causato decine di proteste (tra tutte gli “attacchi” ai bus che portano i techies dai loro quartieri al posto di lavoro). Questi techies – termine diventato quasi offensivo, da quelle parti – ci credono, cavalcano l’illusione e forse non si rendono conto che sempre più proprietari di immobili richiedano contratti d’affitto della durata di fino a 10 anni. Il motivo è chiaro: c’è poca fiducia nel presente, la bolla fa paura e i landlord puntano a incassare il più possibile in tempi di bonanza.

 

L’uscita dell’articolo ha causato un attacco di panico fra gli addetti ai lavori, generando una sequela di repliche ai timori di Gurley, la maggior parte delle quali sembra non smetire i timori del VC. A cominciare da quella di Fred Wilson  – finanziatore di Twitter, Tumblr, Foursquare, Zynga, Kickstarter – che ha confessato di aver annuito con entusiasmo leggendo l’articolo del Journal. Un’illuminazione? Non proprio, perché la corsa al carro della probabile bolla che verrà è già cominciata e Wilson ha assicurato di sostenere posizioni critiche riguardo il suo stesso business da tempo immemore. Sarà.

 

Sta succedendo veramente, sembra dire Wilson, e il problema è quasi strutturale, risale alla filiera investitori-incubatori-startuppari su cui si fonda il modello della Valley. Il mostro da annientare, secondo il VC, è l’assenza di profitto, visto che “abbiamo molte società che bruciano milioni di dollari al mese”. Bisogna quindi perdere l’abitudine a “bruciare milioni” senza aspettarsi grandi profitti perché se da una parte l’idea stessa di start up si basa su un massiccio investimento iniziale, prima o poi le aziende devono fruttare denaro. Altrimenti dovrebbero definire fallite, come succede nel resto del mondo. A corredo del tutto, il titolo del post (“Burn Baby Burn”), tre paroline che seminano nell’aria un intenso odore di dollari bruciacchiati.

 

Ma è il terzo campanello d’allarme a suonare più preoccupante e stupefacente. Perché a suonarlo è stato Marc Andreessen, un uomo che insieme a Peter Thiel è l’incarnazione dello spirito Silicon Valley. Andreessen ha fama da spietato investitore, è una vecchia conoscenza della Valley, creatore del primo browser web mai realizzato (Mosaic), un portafoglio gonfio e ambizioso che nel tempo ha investito in una moltitudine di start up tra cui Facebook, Foursquare, Twitter, GitHub e Pinterest. Il suo contributo alla discussione è arrivato da Twitter, dove il VC si è distinto nella discutibile arte del tweet storm, una serie di tweet e auto-repliche che in qualche modo sostituiscono un post tradizionale.

 

Andreessen si è concentrato sui cambiamenti accorsi negli ultimi anni, additando i “nuovi arrivati” che “hanno operato negli ultimi dieci anni in un ambiente in cui è sempre stato facile ottenere grandi cifre di denaro”. Ebbene, continua affidandosi al caps lock, “ciò è destinato a cambiare”.

 

 

Come? Cambierà la gestione delle società, ora amministrate da “manager addestrati e incentivati solo ad assumere, una risposta ad ogni problema”; e quindi “molto personale, grandi uffici lussuosi, enormi spese di partenza”, illusione generale che spinge i più a esultare: “ce l’abbiamo fatta!”. Ma è davvero così? No, secondo il VC, e infatti molte realtà “si vaporizzeranno” nel nulla. Rimane quindi solo una cosa da fare: preoccuparsi.

 

 

Chissà se l’eco di questa discussione giungerà anche nelle tante Silicon Whatever sorte in tutto il mondo sull’onda del Grande Sogno californiano.

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