Matteo Renzi (foto LaPresse)

Riapre la Sala verde

Renzi lancia una sfida all'OK Corral sul tavolo preferito dai sindacati

Nunzia Penelope

Martedì l’incontro con Cgil, Cisl e Uil. Oltre a rappresentanza e salario minimo, c’è un’idea “hard” di Confindustria.

Ferrara. Dice il saggio che è meglio stare attenti quando si esprimono desideri,  perché c’è il rischio che si realizzino. E’ più o meno quello che potrebbe capitare la prossima settimana ai leader dei sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil. Dopo mesi passati a chiedere la riapertura di un confronto ufficiale con il governo, adesso lo avranno.  “Martedì incontro i sindacati”, ha annunciato ieri Matteo Renzi dal festival della rivista Internazionale a Ferrara. “Sono disponibile a discutere di tutto ma anche i sindacati devono cambiare, non solo la politica”, ha aggiunto. Non sarà dunque una visita di cortesia. D’altronde il presidente del Consiglio, parlando alla direzione del Pd, era stato chiaro. Riaprendo a sorpresa la Sala verde di Palazzo Chigi, quella della fu concertazione, ha anche detto che intende sfidare i sindacati su tre temi precisi: legge sulla rappresentanza, salario minimo e contrattazione aziendale. In realtà, quella che si profila è una riforma ben più sostanziosa, che in pratica renderebbe alternativi i due principali livelli contrattuali – il nazionale e l’aziendale – puntando a ottenere una consistente riduzione del costo del lavoro attraverso l’intervento sui salari. L’abolizione dell’articolo 18, infatti, pur altamente simbolica, non è di per sé in grado di ottenere quello che le imprese desiderano di più, e cioè il contenimento dei costi e un legame più stretto tra salario e produttività. Le linee guida per la trattativa, del resto, sono indicate in un documento presentato dalla Confindustria al governo prima dell’estate: 14 pagine dal titolo “Proposte per il mercato del lavoro e la contrattazione”. Il succo sta nell’ultima pagina. In trenta righe, gli imprenditori propongono una riforma della contrattazione estremamente semplice: fatti salvi entrambi i livelli, il nazionale e l’aziendale, le imprese che sceglieranno l’uno saranno esentate dall’altro. Dopo la “derogabilità normativa” già definita nell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, “occorre disciplinare la derogabilità economica, individuando nei contratti collettivi nazionali di categoria nuove soluzioni che consentano di cogliere maggiori vantaggi per le imprese”.

 

Il salto di qualità è quello di “consentire alle imprese che hanno la contrattazione aziendale di negoziare solo incrementi retributivi effettivamente collegati ai risultati aziendali, senza riconoscere gli aumenti fissati dai Ccnl”. A loro volta, le imprese che non hanno la contrattazione aziendale potranno scegliere “tra l’applicazione tout court degli incrementi economici previsti dai contratti nazionali della loro categoria e l’applicazione di schemi o modelli retributivi che abbiano un collegamento con i risultati aziendali predisposti dagli stessi Ccnl”. Insomma, o l’uno o l’altro. Qualcosa che assomiglia molto al  “modello Marchionne”, quello applicato dalla Fiat che tuttavia, per ottenere questo risultato, aveva dovuto lasciare la Confindustria. Ora, invece, si profilerebbe una soluzione analoga per l’intero sistema. D’altronde “con queste regole del mondo del lavoro la disoccupazione è  raddoppiata”, ha detto Renzi. “Se non ci fossero aziende a creare investimenti in Italia non andremmo da nessuna parte”, eppure si continua “a dividersi tra chi sta sopra e chi sta sotto ai 15 dipendenti”, riferimento all’articolo 18. Sarà un problema confrontarsi con le proposte renziane per Cgil, Cisl e Uil, che rischiano di trovarsi spiazzati proprio al tavolo di concertazione tanto sospirato. Una sorpresa, però, lo è solo fino a un certo punto: nel luglio scorso, infatti, nel corso di un incontro riservato, i vertici di Confindustria avevano illustrato il documento anche ai leader delle confederazioni, annunciando l’intenzione di aprire la trattativa in autunno. Ma la risposta di Camusso, Bonanni e Angeletti, sia pure con sfumature diverse, era stata sostanzialmente un “no, grazie’’. “Il documento non rappresenta l’opinione di tutta Confindustria, quindi non si apre nessuna trattativa”, avrebbe replicato Camusso. Invece, stavolta pare proprio che le imprese dell’Associazione siano tutte d’accordo sulla strada da seguire. Anche perché, osserva la Confindustria, una diversa configurazione degli assetti contrattuali è in qualche modo imposta dall’introduzione di un salario minimo legale, prevista dal disegno di legge delega del governo: una novità che restringerebbe gli spazi di manovra della contrattazione stessa, rendendo indispensabile un intervento “correttivo’’. E dunque, ecco che questa sarà inevitabilmente la vera pietanza al tavolo della Sala verde. Per i sindacati, che tanto hanno invocato la ripresa del confronto col governo, a quel punto sarà difficile tirarsi indietro.

 

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