Susanna Camusso (foto LaPresse)

Cgil sull'orlo di una crisi di nervi

Redazione

Chiamala frustrazione o sussulto di sincerità, ma la sintesi più efficace è la faccia offesa di Susanna Camusso: “Ci hanno fatto attendere sul ballatoio”. Dunque, niente riapertura alla concertazione della Sala verde di Palazzo Chigi, quella dei grandi incontri tra le parti sociali.

Roma. Chiamala frustrazione o sussulto di sincerità, ma la sintesi più efficace è la faccia offesa di Susanna Camusso: “Ci hanno fatto attendere sul ballatoio”. Dunque, niente riapertura alla concertazione della Sala verde di Palazzo Chigi, quella dei grandi incontri tra le parti sociali. Matteo Renzi ha impiegato le tre ore concesse ieri ai sindacati – convocazione alle otto – e alle imprese più per comunicare decisioni prese che per mediare sul da farsi. Soprattutto con Cgil, Cisl e Uil, alle quali ha notificato il “no” a rigurgiti concertativi: confermando che il governo, oggi, chiede al Senato la fiducia sul Jobs act con il superamento dell’articolo 18 e di altre tutele, simbolo del potere sindacale più che garanzie per i lavoratori. Probabilmente però l’umiliazione inflitta alla Camusso – che l’aveva definito “una nuova Thatcher”, offesa massima pare – ha per bersaglio soprattutto la vecchia ditta del Pd. L’incontro con le confederazioni comunque è filato secondo copione: presa d’atto con aperture di Cisl e Uil, no reiterato della Cgil che farà da sola la manifestazione del 25 ottobre, sulla quale il premier ha pure scherzato: “Diremo al sindaco Marino di accogliere con tutti i riguardi i vostri tre milioni di partecipanti”.

 

C’è chi ha definito “ornamentale” la presenza dei sindacalisti in Sala verde. Sergio Cofferati, ex leader della Cgil ai tempi delle adunate al Circo Massimo e di una Sala verde che, nel 1993 con il governo Ciampi, si riempì di duecento funzionari, con tanto di azzeramento delle lancette degli orologi, denuncia il “cambiamento genetico ed epocale” al quale punta il governo Renzi: “Con la contrattazione aziendale, cioè l’estensione su scala nazionale del modello Fiat, finirà una storia bellissima, quella della dimensione confederale del sindacalismo italiano. Un altro colpo ai corpi intermedi, alla loro mediazione dei conflitti, all’intervento nella redistribuzione del reddito”. Cofferati, oggi europarlamentare del Pd, un po’ ha l’aria di lanciare l’“allarme democratico” un po’  di mirare agli eredi bersaniani di quel Massimo D’Alema con il quale si scontrò (e quello recedette subito). Ma questo poco toglie all’esattezza dell’analisi. Però se il destino del pansindacalismo confederale è segnato, ci si potrebbe chiedere se questo non dipenda anche dalle sue attuali trincee. L’articolo 18 con la reintegra giudiziaria obbligatoria, oltre a coincidere con una disoccupazione oltre il 12 per cento, ieri ha messo d’accordo nel consenso Angela Merkel (che ha confermato la partecipazione piena al vertice sul lavoro di oggi a Milano con Renzi), il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea: tutti definiscono urgente e benvenuta la riforma del lavoro, e un “serio problema – parole del Fmi – il sistema duale italiano che crea due classi di cittadini”.

 

[**Video_box_2**]Se poi si guarda al tfr, che Camusso si ostina a non volere in busta paga, ecco che ciò che Cofferati definisce “intervento nella redistribuzione del reddito” assume sembianze da patronato. Perché non dare mensilmente ai legittimi titolari il salario differito? O almeno il diritto di scelta? Non chiamatelo “bonus”, s’incarta la Camusso. E’ il riflesso pavloviano della Cgil che vede l’operazione tfr come foriera di consensi per un governo diversamente di sinistra, il massimo dell’inaudito (mentre il sindacato di Corso Italia ha appena fallito anche l’obiettivo di raccogliere 500 mila firme entro settembre per abrogare il Fiscal compact via referendum). Senza contare la perdita di controllo sulla quota di liquidazione che oggi va ai fondi pensione o al fondo speciale dell’Inps. Interessi tattici, di bottega. Se il problema è la liquidità delle piccole e medie aziende, il sindacato dovrebbe piuttosto manifestare davanti alle banche sparagnine: perché non lo fa? Si torna sempre lì, alla denuncia cofferatiana della rottamazione della “dimensione confederale” del sindacato. Quella, cioè, che non fidandosi della libera iniziativa di lavoratori e aziende, finora ha accompagnato per mano i primi dall’assunzione alla pensione fino all’utilizzo pilotato dei loro guadagni, mentre alle seconde ha garantito livelli salariali minimi; e al resto pensi lo stato.