Giudici della Corte di Cassazione (foto LaPresse)

Ferie, produttività e altri trucchi statistici dei magistrati per frenare Renzi

Luciano Capone

Per difendere i magistrati dall’assalto riformatore del governo è sceso in campo un ex collega di peso, il presidente del Senato Pietro Grasso, dopo un’intervista al Corriere della Sera.

Milano. Per difendere i magistrati dall’assalto riformatore del governo è sceso in campo un ex collega di peso, il presidente del Senato Pietro Grasso, che in un’intervista al Corriere della Sera dice a Matteo Renzi che sulla giustizia sta sbagliando: “La magistratura viene raffigurata come una classe che ha potere e privilegi; ma ci sono giudici che non hanno neppure l’ufficio, lavorano a casa”, dice l’ex capo della Direzione nazionale antimafia. Anziché dare più risorse alla categoria “c’è la tendenza a concentrare il dibattito su elementi di consenso popolare immediato”, tipo le ferie. Ferie che sono un “falso problema” visto che ad esempio a Grasso è capitato di non prenderne “per tre anni”.

 

E’ la stessa tesi sostenuta da tutte le correnti delle toghe, da Magistratura Indipendente a Magistratura democratica: “La riduzione delle ferie dei magistrati non sarebbe che l’adeguamento di diritto a una situazione di fatto”. In pratica le ferie ci sono, ma è come se non ci fossero, visto che i magistrati lavorano anche in vacanza. Piercamillo Davigo si è spinto oltre, sostenendo che le “vacanze sono il periodo peggiore della vita di un essere umano”. Le ferie vanno abolite. Tutte. Non si comprende bene quindi la strenua difesa di quello che viene considerato un privilegio (45 giorni di ferie) che di fatto non esisterebbe più.

 

La tesi delle toghe è che è sbagliato pensare di risolvere i problemi della lentezza e degli arretrati colpendo ciò che nel comparto giustizia funziona meglio: “Lavoriamo il doppio dei colleghi francesi e il quadruplo dei tedeschi. Non è possibile aumentare ulteriormente la produttività”, ha detto in diverse interviste Piercamillo Davigo. Il mantra della produttività più alta d’Europa viene scandito in questi giorni da tutti i magistrati e si basa sulle cifre del rapporto biennale della Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej). L’Anm ha messo nero su bianco un estratto del rapporto in un dossier di autodifesa dal titolo “La verità dell'Europa sui magistrati italiani”, il cui succo è: “Siamo i più produttivi d’Europa”. Ma la Commissione che raccoglie i dati sulla giustizia di tutti i paesi del Consiglio d’Europa dice questo? In più parti del suo rapporto la Cepej spiega che non è possibile fare classifiche sulla base del suo lavoro vista l’eterogeneità dei dati e le differenze tra i sistemi giudiziari dei singoli paesi. Per farsi un’idea sulla incomparabilità dei dati inviati dagli stati alla Cepej basta notare, come ha fatto l’Unione delle Camere penali, che l’Italia ha scelto di qualificare come “reati gravi” tutti quelli attribuiti alla magistratura ordinaria, mentre come “reati minori” solo quelli attribuiti ai giudici di pace, il 15 per cento, un dato che in Francia e Germania è rispettivamente il triplo e il doppio.

 

[**Video_box_2**]Stesso discorso per la produttività. Da questi dati disomogenei, dicono i penalisti, “emerge come i nostri magistrati appaiano produttivi al di là quasi della sostenibilità umana”. Dai calcoli dei penalisti sul loro settore, i giudici italiani con 774 casi chiusi l’anno pro-capite hanno un indice di produttività sestuplo dei tedeschi (162) e più che doppio dei francesi (346). E come mai nonostante la produttività sovrumana non si riescono a smaltire gli arretrati? La spiegazione dei giudici è che loro sono iperproduttivi, mentre è tutto il resto che non funziona. La verità è un’altra, e cioè che il termine “casi chiusi” non spiega bene di cosa si tratti, se di sentenze, prescrizioni, decreti penali, annullamenti etc. La sensazione, leggendo i dati, è che i magistrati paragonino dati eterogenei, pere con mele, che stiracchino le statistiche per supportare la propria tesi. E i numeri sono come le persone, se li torturi abbastanza gli fai confessare quello che vuoi.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali