Assad (foto LaPresse)

Assad ammette di avere tradito l'accordo sulle armi chimiche

Daniele Raineri

La Siria non è trasparente sulla distruzione definitiva del suo arsenale di armi chimiche, come fonti di intelligence occidentali sospettavano da tempo e come fonti diplomatiche dicono da mesi.

Roma. La Siria non è trasparente sulla distruzione definitiva del suo arsenale di armi chimiche, come fonti di intelligence occidentali sospettavano da tempo e come fonti diplomatiche dicono da mesi. Nel settembre 2013, dopo il massacro di civili con il gas sarin alla periferia di Damasco e dopo le minacce di bombardamento da parte di America e Francia, il governo del presidente Bashar el Assad aveva acconsentito a un programma che può essere riassunto in tre punti: entrare nella Convenzione sulle armi chimiche, stilare una lista completa delle armi chimiche e dei siti per la loro produzione in Siria, consegnare tutte le armi chimiche per la distruzione in mare aperto.

 

Ora, secondo un documento dell’Opcw, l’Organizzazione mondiale per il controllo sulle armi chimiche, il governo siriano aveva mentito e aveva consegnato una lista incompleta: a luglio ha ammesso che mancavano altri tre siti per la produzione di armi chimiche – di cui prima non aveva denunciato l’esistenza. Un sito in particolare era equipaggiato per la produzione di ricina, che è una sostanza naturale altamente tossica. Nella sua forma pura, basta una quantità inferiore ai due milligrammi, che equivalgono a un duecentoventottesimo di una pastiglia di aspirina, per inalazione o iniezione, a uccidere un uomo adulto. Il potere velenoso della ricina ha attratto al Qaida, che ha provato a produrla, ma è un procedimento difficile. In America ci sono stati sei attacchi con ricina “fatta in casa”, spedita dentro la busta di una lettera, ma nessuno è stato mortale. Il governo siriano ha ammesso l’esistenza di quei siti a luglio, ma secondo lo stesso documento presentato all’Opcw il laboratorio della ricina è in un territorio ormai non più controllato dall’esercito di Assad. Se così fosse, potrebbe essere questo il motivo della confessione: dare l’allarme su un potenziale pericolo.

 

[**Video_box_2**]Due giorni fa il segretario di stato americano, John Kerry, ha parlato di un’altra violazione da parte di Assad dell’accordo sullo stop alle armi chimiche in Siria: sempre secondo l’Opcw, il governo ha lanciato barili bomba carichi di scarti industriali tossici – come il cloro – su alcune città nell’area settentrionale del paese. L’organizzazione dell’Onu non specifica se è stato il governo, ma sostiene che le bombe al cloro sono state lanciate da elicotteri – in possesso soltanto del governo. Le nubi di sostanze tossiche industriali sono assai meno letali del gas nervino usato nell’agosto 2013 a Damasco, e sono anche meno letali dell’esplosivo convenzionale. Il loro uso potrebbe però essere rassicurante per la base alawita di Assad, che si sente castrata dalla comunità internazionale e minacciata dall’avanzata dei gruppi islamisti. Le bombe al cloro veicolano un messaggio da parte del regime: “Siamo ancora così forti da poter sfidare le imposizioni occidentali, siamo disposti a usare ogni genere di arma per proteggere il potere degli alawiti (e del clan Assad)”.

 

L’accordo con l’Amministrazione Obama, mediato dal governo russo, evitò all’ultimo momento la partenza degli attacchi aerei, perché il presidente americano aveva definito “una linea rossa” l’uso massiccio di armi chimiche. La linea rossa fu varcata, Obama si trovò controvoglia a dover mantenere la parola. Il patto siglato all’ultimo momento sulla distruzione delle armi chimiche accontentò tutti: Washington non lanciò gli attacchi aerei, Assad scampò il pericolo – anzi, ora invita gli americani a bombardare le basi jihadiste in Siria, come se nulla fosse successo – e i russi protessero ancora una volta il loro alleato di Damasco. L’accordo però aveva un difetto intrinseco: faceva affidamento soprattutto sulla trasparenza del governo di Assad. La domanda adesso è: cos’altro non ha ammesso di possedere ancora?

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)