Sostenitori del movimento indipendentista scozzese (Foto AP)

Oggi si vota sull'indipendenza

In Scozia ci voleva un ex premier rinato per dare al “no” lo slancio finale

Paola Peduzzi

Gordon Brown fa il discorso della vita e galvanizza gli unionisti. Murdoch si è tormentato ma non si schiera con il “sì”.

Milano. Per duecento giorni, la Cuckoo’s Bakery di Edimburgo, deliziosa pasticceria in Dundas Street, ha condotto il suo sondaggio, sulla base della vendita di tre tipi di cupcake: bandiera inglese, bandiera scozzese e punto di domanda. I risultati sono usciti due giorni fa: vince il “no”, anche tra i dolcetti, con percentuali però più rassicuranti degli ultimi sondaggi, che danno il “sì” in crescita, e così, come s’è ripetuto fino allo sfinimento nelle ultime ore di campagna elettorale, tutto può succedere. Anche se, a giudicare dagli endorsement arrivati dai media – soltanto il 3 per cento sta con il “sì”, il resto è diviso tra neutrali e “no” – pare che il momentum del “yes”, nato da un unico sondaggio pubblicato dal Sunday Times due domeniche fa, sia evaporato. Non che ci sia da fidarsi dei media, ma quando ieri mattina è arrivato in edicola il Sun scozzese, ci sono stati parecchi musi lunghi. Rupert Murdoch ci capisce, si sa, e per giorni ha raccontato via Twitter il suo tormento, la passione per gli indipendentisti, così veraci, così preparati, il disprezzo per gli unionisti, così bulli, così improvvisati: pendeva verso il sì, Murdoch, ma siccome non è un uomo che ama perdere, alla fine s’è imposto il più cauto “decidete voi, scozzesi, deciderete bene”. L’editoriale fa capire che la speranza per il “sì” è alta, non foss’altro che per il fatto che Alex Salmond, “premier” scozzese, si meriterebbe una vittoria, ha fatto tutto bene, era pronto da anni, non ha perso un’occasione. La campagna “Better Together”, unionista, guidata dall’ex cancelliere laburista Alistair Darling, è stata invece disastrosa: poche idee, molte minacce, alla fine gli indipendentisti sono sembrati più simpatici, e ce ne vuole. Ma il voto di oggi al referendum sull’indipendenza della Scozia non si basa sulla performance pre elettorale dell’una e dell’altra parte – per fortuna, dicono a Londra –, si basa sul futuro di cinque milioni di persone che, come dice il premier conservatore David Cameron (che ha dovuto ripetere che se vince il “sì” non se ne va, altrimenti pur di cacciarlo gli scozzesi chissà che fanno), poi non potranno più tornare indietro.

 

Gli interrogativi sono tanti, il petrolio è la risorsa su cui poggia il sogno indipendentista, ma ancora ieri un report di un istituto indipendente spiegava che nel medio-lungo periodo il mare del Nord non sarà più tanto generoso da sorreggere la nuova, piccola nazione. Salmond ripete che gli inglesi vogliono soltanto mettere paura, che un popolo con uno stato suo sa fare molto meglio per se stesso di quanto possa mai fare un governo lontano, che la strada per la sostenibilità è piena sì di pericoli, ma anche di occasioni: da soli si è molto più liberi, e creativi, e dati alla mano sull’occupazione (big surprise di ieri) la Scozia va molto meglio del resto del Regno. Sugli inglesi, il “premier” scozzese, ha ragione, lo ha ammesso anche Cameron quando ieri non è riuscito a spiegare come il fronte del “no” sia riuscito ad arrivare al voto con così poco entusiasmo: gli unionisti hanno pensato solo a mettere paura, e hanno anche creduto che fosse sufficiente essere crudelmente freddi per ottenere il risultato (per non parlare dell’ansia europea, sintetizzata dal premier spagnolo Mariano Rajoy che ha tratteggiato un futuro apocalittico per chi vuole l’indipendenza, atterrito com’è dalla questione catalana).

 

[**Video_box_2**]Negli ultimi giorni, con l’arrivo dei leader conservatori, laburisti e liberaldemocratici, degli autobus e dei treni per il “no”, s’è sentito finalmente un po’ di calore, e tutti hanno pensato che lo slogan “Love Scotland Vote No” avrebbe potuto anche circolare un po’ prima e con un po’ più di insistenza: se ami la Scozia la vuoi nel Regno Unito, questo sì che è un messaggio d’unione, non tutte quelle liti sulle pensioni o sul sistema sanitario o sulla sterlina che hanno incattivito gli scozzesi. E’ il messaggio che ieri ha lanciato anche Gordon Brown a Glasgow, in un discorso a braccio meraviglioso e appassionato (il discorso della vita, hanno commentato tutti, amici e nemici: ieri Brown è resuscitato). Lui, ex premier laburista dalla natura grigia, è riuscito, alla vigilia del voto, a tirar fuori quel che i sostenitori del “no” avrebbero dovuto ripetere fin dall’inizio e cioè che hanno a cuore il bene della Scozia – Love Scotland – non soltanto il futuro del Regno Unito. Finanziariamente la Scozia da sola non sta in piedi, e questo è un fatto, ma non ci sta nemmeno dal punto di vista dei valori e delle convinzioni, perché trecento anni di storia insieme non sono stati vissuti invano: “Se siete indecisi, votate ‘no’”, ha detto banalmente Brown alla fine, ma dopo le accuse e gli sberleffi, è parso il miglior consiglio mai pronunciato finora, quasi disinteressato nella sua ragionevolezza.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi