Una statua dell'imperatore Augusto

Augusteum

Alessandro Giuli

Il destino delle rovine è rovinare, ma voi chiedete il restauro del Mausoleo di Ottaviano Augusto. E per farne cosa? Immolarlo alle meste celebrazioni per il bimillenario della sua scomparsa, schiuderlo alle infradito dei bivacchi turistici o alle creazioni della moda e ai concerti stracittadini?

Il destino delle rovine è rovinare, ma voi chiedete il restauro del Mausoleo di Ottaviano Augusto. E per farne cosa? Immolarlo alle meste celebrazioni per il bimillenario della sua scomparsa, schiuderlo alle infradito dei bivacchi turistici o alle creazioni della moda e ai concerti stracittadini, come avviene nella sfortunata Ara Pacis? Vorreste forse consegnarlo alle luci al neon e ai commedianti, farne un Teatro Valle nazionalpopolare. Accomodatevi, se vi riesce. Verrebbe da rispondervi così: che cosa sono millenni di degrado di fronte all’eternità di Roma e alla natura divina, perciò anch’essa di là dal tempo, acquisita da Augusto nella sua vicenda umana? E’ cento volte preferibile veder trionfare l’edera che i soliti cattivi propositi. Ma so che non basta. Si rifletta, per cominciare, sulla maggiore fortuna che ebbe il fascismo nella sua (fallimentare) pretesa di mostrarsi erede della romanità: un conto è festeggiare il duemilionesimo compleanno dell’erede di Giulio Cesare, mentre si coltiva la legittima illusione d’essere ritornati forti e sovrani; altro è avviticchiarsi oggi alla ricorrenza della sua morte come consolazione per la sopraggiunta decadenza o per raccattare quattrini. Certo, solo ai nemici del bello può andare a genio lo sbriciolarsi di quel Mausoleo voluto dal signore del mondo, al suo dissolversi è preferibile persino l’uso che ne fecero i futuristi negli anni Venti del secolo scorso, quando vi ricavarono alcuni locali (si chiamavano appunto “Grotte dell’Augusteo”) nei quali esibirsi in mostre e risse e cabaret d’avanguardia.

 

Non si dimentichi poi che il Mausoleo di cui parliamo è una tomba, è il sacrario della Gente Giulia discesa da Venere per sangue dardanico-troiano, ascesa ad Albalonga e ridiscesa a Roma da Bovillae, è il luogo nel quale il corpo di Augusto – preceduto da numerosi suoi cari e seguìto dagli eredi giulio-claudii – venne arso ritualmente per liberarne l’anima. Sebbene saccheggiato nei secoli, il nostro Augusteum merita un rispetto speciale, il rispetto che spesso l’archeologia nega anche alle più umili necropoli non ancora profanate. Gli si può solo rimproverare d’essere un po’ ridondante rispetto alla semplice pira funebre sulla quale brillavano le spoglie dei primi re latini, ma è una colpa che sta espiando dando ricovero notturno ai clochard e ai bisognosi (solo a Roma un senzatetto può dormire nella tomba di Augusto o nella Domus Aurea di Nerone, e a modo suo è un messaggio potentissimo). Al Mausoleo di Adriano è andata meglio? Oggi il suo nome ufficiale è Castel Sant’Angelo, è sopravvissuto all’abbandono, sì, ma al prezzo di un cambio nella destinazione d’uso: da tomba imperiale a odioso carcere politico. Restaurarlo pure, il Mausoleo di Augusto, non con le maestranze del primo scarparo che passa, e poi tenerlo chiuso e venerato, come il monito di una grandezza negletta e della barbarie vigente: questo si dovrebbe ma temo sia impossibile. E’ possibile invece tenere a mente quest’altro: Roma si conserva e si protegge benissimo da sé, a volte anche dai suoi improvvidi difensori. Il guaio, se mai, sono i cittadini, loro sì che avrebbero necessità di un restauro; non dico dell’anima, quella è già una conquista avercela, ma almeno nei costumi. Qui la lezione di un altro illustre imperatore romano, Marco Aurelio, può giovare: “Tutto dura un giorno, sia chi ricorda sia chi è ricordato”, meglio “volgersi a una cosa sola: pensieri giusti e azioni utili alla comunità, parola tale che mai pronunci menzogna”. Ecco il primo dei restauri da fare, dopodiché sarà più facile anche ritardare la rovina delle rovine antiche.