Lo stronzetto digitale

Stefano Di Michele

Applauso per la app anti figlio scapestrato che spegne i suoi contatti se non risponde a mammà.

Lo stronzetto digitale, quando è il caso, non risponde. Mai risponde. Proprio mai. Stacca la suoneria, si tappa le orecchie – nel quotidiano procedere tra selfie e birre e canne che prefigura il perfetto rincoglionimento già a metà sera. Adesso sono le quattro del mattino, “ora rassettata per il canto dei galli” – e la povera donna già se lo immagina spiaccicato con la sua macchinina sul tronco di qualche solido leccio, intubato al pronto soccorso, braccato da crudeli caramba a caccia di scapocciati marmocchi. Non risponde, non risponde. Oddio, cosa sarà successo? Mammà non piglia sonno – non può; papà non vuole che sia disturbato il suo – di sonno; la nonna ha già un principio di Alzheimer che pare la copia precisa del nipote dopo cinque/sei caipirinha – quella meglio se dorme. Dio, Dio, rispondi: tesoro, cucciolo, piccolo… Che ti hanno fatto? Cos’è successo? Niente è successo. Proprio niente – è solo lo stronzetto digitale in azione, che nello specifico si concretizza nello stronzetto digitale in inazione: lancia un’occhiata languida/floscia verso lo smartphone piazzato sullo strappo del jeans sulla coscia sinistra – aho, mi’ madre, du’ cojoni! – mentre precocemente Debby o er Comatoso si accasciano su quella destra, e lascia squillare a vuoto. “Annamo a prende’ li cornetti caldi?”. Lo stronzetto digitale opera costantemente e con perseveranza per l’intero arco giorno/notte/giorno, servizio acca 24 – attaccato al suo smartphone come vacca tirolese al campanaccio, orsa Daniza agli orsetti, filtro a cartina.

 

Ma dà il meglio (il peggio) di sé in quelle non risposte alle chiamate genitoriali che paventano a loro volta il rischio di uno sterminio dell’intera figliolanza sette giorni su sette – acca 24 anch’essi, ore notturne in particolare, quando, dopo lo stravacco giornaliero, l’erede si tracanna la paghetta in qualche localino/raduno/ammasso del cazzo e gioca a fare il Dalla in (soprattutto con) erba: “Telefonami tra vent’anni / io adesso non so cosa dirti…”. E allora, come ricondurre a più miti consigli la bestiola indisciplinata, il bipide cafone cresciuto nel seno familiare? La soluzione geniale, ovviamente, è venuta da una mamma. Americana – ché quelle sono tipe toste, mica fanno solo torte di mele. Americana del Texas, quasi benemerita Calamity Jane del secolo nuovo. Sharon Standifird ha fatto parte della polizia militare durante la guerra del Golfo, ma neppure Saddam e la buonanima del gen. Schwarzkopf davano da fare come l’indisciplinato pargolo Bradley. Genio militare e genio materno si sono così mirabilmente fusi in un’app messa a punto dalla signora, nome in codice “Ignore no more”. Funziona così: ogni volta che lo scostumato di casa decide di ignorare la telefonata degli stremati consanguinei, subito collassa lo stesso smartphone, e il consolante ciuccio del pupo malcresciuto si blocca (resta solo la possibilità di chiamare il 911, il numero d’emergenza). Niente giochi, niente WhatsApp, niente sms, niente foto – come ritrovarsi in mano un pelapatate. Praticamente una devastazione esistenziale per lo stronzetto digitale, Avatar accoppato sulla soglia del pub, bimbominkia atterrato col selfie in corso. Resta una sola soluzione al dramma: chiamare finalmente mamma, “maaaa’, ti pregooo!!!”, e riattivare così lo smartphone. Canossa coi controcazzi, contrappasso memorabile, guinzaglio e salda pettorina che manco al cocker di casa. Peraltro più lesto al richiamo: al quadrupede basta il fischio, per l’altra bestia coabitante manco venti squilli.

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