Verso “Goldstone 2”, ovvero un tribunale di strada contro Israele

Giovanni Matteo Quer

Ecco come sotto la maschera dell’imparzialità umanitaria e solidale, la rete delle Ong costituisce un potere iternazionale di “consulenza” sulle questioni dei diritti umani e del diritto umanitario,che influisce sulle politiche di Stati e organizzazioni internazionali.

Il network delle organizzazioni non governative (Ong) per i diritti umani ha promosso una campagna politica affinché il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite adottasse, lo scorso 23 luglio, una risoluzione che stabilisse una “commissione indipendente” per investigare i presunti crimini internazionali commessi a Gaza. Il “terzo potere” della rete ideologica e politicizzata dei diritti umani si dimostra capace di influenzare le politiche degli Stati e delle organizzazioni internazionali, cardini della comunità internazionale. La decisione dell’organo Onu è frutto “dell’effetto Goldstone”, come lo ha definito Gerald Steinberg, direttore del centro di ricerca israeliano Ngo Monitor. Come dopo “Piombo Fuso” a Gaza nel 2009, e così in altri conflitti, le Ong hanno giocato un ruolo fondamentale nell’istituzione di commissioni d’inchiesta e nella fabbricazione delle condanne contro Israele. Questa rete mira a un “Goldstone II” per una nuova ondata di delegittimazione di Israele in seno alla comunità internazionale.

 

Dopo l’operazione militare israeliana a Gaza “Piombo Fuso” del 2009, il Consiglio dei Diritti Umani stabilì una commissione d’inchiesta, presieduta dal magistrato sudafricano Richard J. Goldstone, per verificare potenziali violazioni del diritto internazionale durante il conflitto. Adottata col voto favorevole di paesi tra i più oppressivi (tra cui Pakistan, Bahrain, Qatar e Arabia Saudita) e con l’astensione dei paesi europei (tra cui Italia, Gran Bretagna, Germania e Francia), la risoluzione ha creato una commissione che ha confermato le accuse già formulate dalle Ong internazionali, tra cui Amnesty International, Human Rights Watch, e locali, tra cui l’israeliana Adalah e la palestinese Al-Haq, tutte destinatarie di fondi governativi europei. Successivamente screditata dallo stesso giudice Goldstone, la commissione d’inchiesta non ha fatto altro che indagare su 36 casi scelti per comprovare alcune accuse di crimini di guerra, basandosi sulle asserzioni parziali della rete delle Ong, sulle loro argomentazioni politicizzate e su fatti non verificati. Risultato: il rapporto Goldstone accusava Israele di uccidere intenzionalmente i civili palestinesi e, parlando blandamente di “gruppi armati palestinesi”, giudicava non-intenzionale l’uso dei civili come scudi umani da parte di Hamas.

 

“L’effetto Goldstone” ha causato una serie di denunce a tribunali internazionali e nazionali contro ufficiali e politici israeliani, una campagna delle lobby delle Ong sui governi perché adottassero sanzioni contro Israele e una generale aria di demonizzazione anti-israeliana assorta nell’aura dei diritti umani e della giustizia internazionale.

 

La stessa rete di Ong opera adesso perché si arrivi a un “Goldstone II”, formulando le solite accuse di “indiscriminati attacchi contro i civili” e di “gravi violazioni dei diritti umani” contro Israele e ignorando le strategie terroristiche di Hamas. Amnesty International ha richiesto l’embargo di armi contro Israele e “gruppi armati palestinesi”, dichiarando una generica necessità di investigare le violazioni del diritto internazionale a Gaza. Alla sessione del Consiglio dei Diritti Umani, che ha portato a un’altra inchiesta internazionale col voto favorevole delle dittature e con l’astensione dell’Europa, si sono susseguite dichiarazioni che falsamente dichiaravano l’intenzionalità israeliana di attaccare i civili e per contro non si è mai citato il pericolo dei tunnel che dalla striscia di Gaza arrivano in territorio israeliano. Anzi, il direttore di Human Rights Watch, Kenneth Roth, ha dichiarato su Twitter che i tunnel di Hamas hanno finora causato solo vittime militari (1 agosto) e che se non sono usati contro i civili non sono illegali (30 luglio).

 

La posizione ideologica emerge dalle dichiarazioni di altre ONG, come le israeliane B’Tselem e Adalah, così come le palestinesi Badil e Al-Haq, che sfruttando l’emozionalità delle vittime civili, in particolare bambini, indicano un’improbabile volontà dell’esercito israeliano di compiere massacri e altri crimini in zone protette, come scuole, ospedali e moschee, senza denunciare che Hamas li usa come deposito di armi – ivi comprese le scuole dell’Unrwa che fa capo alle stesse Nazioni Unite. Gli sporadici riferimenti ai missili lanciati su Israele sono seguiti dalle condanne alle reazioni israeliane, senza mai riferirsi alla questione centrale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario in questo conflitto: ossia l’uso dei civili palestinesi come scudi umani quale tecnica terroristica centrale di Hamas.

 

Le stesse posizioni e campagne fanno eco nelle organizzazioni italiane.

 

L’Ong italiana “Un Ponte Per...” ha accusato Israele di massacrare famiglie e di usare armi chimiche. Accreditata presso il Ministero degli Esteri e attiva nel conflitto arabo-israeliano, ha organizzato incontri pro-Gaza anche con l’International Solidarity Movement, noto per la sua attivista anti-israeliana Samantha Comizzoli; ha inoltre rivolto un appello al ministro degli Esteri, Federica Mogherini, richiedendo l’embargo di armi verso Israele. Anche la Gvc (Gruppo Volontariato Civile), anch'essa accreditata al ministero, accusa Israele di terrorizzare la popolazione civile palestinese e di colpire deliberatamente l’infrastruttura pubblica di Gaza.

 

Lo scopo di tutte queste organizzazioni è l’isolamento di Israele attraverso una duplice strategia. Anzitutto facendo lobbying presso i governi richiedendo la fine dell’embargo su Gaza, senza ragionare apparentemente sul fatto che le risorse umanitarie destinate alla popolazione civile sono state finora sottratte dal regime di Hamas per la costruzione dei tunnel e altre infrastrutture terroristiche. In secondo luogo usano l’arma della guerra giuridica – “lawfare” –, formulando vaghe accuse, distorcendo il diritto internazionale e basandosi su fatti non verificati per demonizzare Israele. Questo stesso processo sta portando verso un “Goldstone 2”, con il rischio che la futura commissione d’inchiesta Onu adotti un altro rapporto parziale, condonando Hamas e accusando solamente Israele, ideologico, poiché si concentra solo sui fatti funzionali alle accuse contro Israele, e approssimativo, poiché basato su prove fallaci e spesso non dimostrabili.

 

L’influenza delle Ong nel perseguire l’ideologia anti-israeliana è accresciuta dai cospicui finanziamenti pubblici dell'Unione Europea, Cooperazione Italiana (Ministero Affari Esteri) e degli enti locali. Sotto la maschera dell’imparzialità umanitaria e solidale, la rete di organizzazioni non governative costituisce un potere iternazionale di “consulenza” sulle questioni dei diritti umani e del diritto umanitario, in grado di influenzare le politiche di Stati e organizzazioni internazionali. Questo duplice ruolo di destinatari di fondi e di consulenti permette alle Ong di perseguire l’obiettivo politico di delegittimazione e boicottaggio contro Israele.

 

(Giovanni Matteo Quer è fellow presso l’istituto di ricerca Ngo Monitor e post-doctoral fellow presso lo “European Forum” dell’Università Ebraica di Gerusalemme)

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