Dio non gioca a dadi, ma pure gli smartphone gli stanno un po' sulle palle

Stefano Di Michele

Il problema è che non è più possibile, semplicemente, sparire. Anche quando ci sarebbe il pieno diritto di farlo, pure quando uno fortemente vorrebbe. Il terrore di non raggiungere e di non essere raggiunto, cede il passo alla possibilità di essere agguantato dalla vita di ogni giorno.

Dio, non avendo la necessità di essere tecnologico (sta comunque sempre un passo avanti), non deve avere in molta simpatia lo smartphone. E peraltro, sapendo già cosa gli devono chiedere e cosa accadrà (è una sua specialità), giustamente in gran conto non deve tenere neanche le email. Quello sulle email è un sospetto, alimentato da certe rassicuranti notizie provenienti dalla Germania; quello sullo smartphone è una certezza – essendo questione affrontata da Papa Francesco. Che guarda caso, si trovava davanti proprio un pattuglione (cinquantamila!) di chierichetti tedeschi. E’ risaputo: chierichetto o fancazzista, in sacrestia o in discoteca, al catechismo o al calcetto, il pischello e lo smartphone fanno una sola cosa: cozza e scoglio, cip e ciop, culo e camicia, canzonettisticamente citando “un corpo e un’anima”. E si capisce che soprattutto l’anima a Francesco stia a cuore. Ore e ore e ore riempite di autentiche cazzate – “perdono troppe ore in cose inutili”, ha detto il Pontefice con comprensibile senso della misura e delle parole. Chat, chat, chat – chiacchiere, chiacchiere, foto foto (e del resto, a qualche selfie, neanche Francesco si è sottratto per l’occasione), “in internet o con i cellulari, prodotti del progresso tecnologico che dovrebbero semplificare e migliorare la qualità della vita e talvolta distolgono l’attenzione da quello che è realmente importante”.

 

La perdita di senso dei giorni, e magari pure la perfetta riproduzione di un vizio che la Bibbia illustra in uno dei suoi libri più celebri, “vanità delle vanità, dice Qohélet, vanità delle vanità, tutto è vanità”. I cinquantamila virgulti teutonici, pur ben instradati verso l’incenso e l’altare, potrebbero facilmente trovare distrazione nelle tentazioni tecnologiche – ma, si è consolato Francesco, “voi siete tedeschi e organizzarsi vi viene bene”. Figurarsi.

 

Sa bene la chiesa quanti e quali pericoli corra l’homo informaticus: peggio che per la carne. E vai con il Vangelo da portare in tasca (suggerimento papale), e le Beatitudini di Matteo da ripassare nel corso dell’estate – far cinguettare meno il tuìt, mettere la mordacchia a WhatsApp, spegnere lo schermo. Francesco lo auspica, nella patria dei chierichetti ci provano realmente.

 

Con quell’altra terrificante innovazione – innovazione per modo di dire: è roba che ormai ha circumnavigato una generazione – che sono le email. Il problema è che non è più possibile, semplicemente, sparire. Anche quando ci sarebbe il pieno diritto di farlo, pure quando uno fortemente vorrebbe. Il terrore di non raggiungere e di non essere raggiunto, sempre per il motivo più fesso, ovvero assenza di motivo (tipica sindrome da smartphone), cede il passo alla possibilità di essere agguantato dalla vita di ogni giorno – quella lavorativa, quella lasciata magari dietro le spalle per pochi giorni.

 

Una ricerca su “Lavoratori e reperibilità” ha raccolto storie di continue, stressanti intrusioni dall’ufficio sotto l’ombrellone, all’ombra dei monti. “Puoi fare questo? Puoi controllare questa cosa?”. Finto efficientismo che si risolve, al solito, in borbonica ammuina, movimento inutile, plateale nullità reale. Anzi, persino in danno. E perciò già alcuni grandi gruppi industriali tedeschi – che mica per caso fanno poi bella figura pure nella pratica – da Porsche a Deutsche Telekom, hanno ammesso che rompere le palle in vacanza produce danni al rientro. La Volkswagen, con tanto di sanzioni, vieta al dipendente di usare la sua email aziendale trenta minuti dopo la fine del lavoro.

 

E se un’ex ministra per la Famiglia ha proposto una (non semplicissima) “legge antistress”, un esponente socialdemocratico ha chiesto “nuove regole sulla posta elettronica: chi riposa ha diritto di essere rispettato”, e ha tagliato corto: “Al datore di lavoro deve essere vietato di contattare il lavoratore in vacanza”. Perché poi, la benemerita facilità di contatto porta a contattare, diciamo così, pure quando se ne potrebbe fare a meno: se basta solo un clic, chi se lo nega? I tedeschi hanno ragione; i loro chierichetti sono stati saggiamente indirizzati. Resta il dubbio: se si può sfanculare il datore di lavoro via email nel giorno libero, non è che poi invece che su Matteo le ore risparmiate finiscono pure loro tutte in smartphone e chat?

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