Roberta Pinotti (foto LaPresse)

Difesa e attacchi ai sabotatori

Europa, riforme, Renzi, Berlusconi, Quirinale. Pinotti a tutto campo

Claudio Cerasa

L’approccio con la Russia, il fallimento delle primavere, gli interventi possibili, il Senato, il ritorno delle preferenze. Parla il ministro della Difesa.

Dentro e fuori. Dentro, dice il ministro, ci sono i parlamentari impazienti, gli emendamenti che fioccano, i capigruppo che svengono, i grillini che esultano, i Mineo che combattono, i Minzolini che lottano, i gruppi che si studiano e l’impressione che, nonostante gli accordi, i patti e gli assi non sarà facile far votare ai senatori l’abolizione del loro futuro. Fuori, invece, ci sono gli elettori che non capiscono, gli osservatori che se la ridono, la rabbia che monta, l’economia che non riparte, gli aerei che cadono, i paesi che si bombardano e l’impressione che non sarà facile convincere il paese che c’è qualcuno che vuole semplificare il funzionamento delle istituzioni e qualcun altro che invece le vuole semplicemente complicare. Siamo a Roma, primo piano di Palazzo Madama, a pochi metri dalla Sala del governo, è mercoledì ventitrè luglio, sono le undici e di fronte al cronista c’è Roberta Pinotti. Ministro della Difesa del governo Renzi. Ministro apprezzato dal Quirinale. Ministro apprezzato dagli Stati Uniti. Ministro apprezzato da Palazzo Chigi. Dove in molti, compreso Renzi, compreso Lotti, compreso Delrio, la considerano uno dei nomi in corsa per il dopo Napolitano. Giovane (è nata a Genova il 20 maggio 1961).

 

Ambiziosa (due anni fa arrivò terza alle primarie a Genova, oggi è uno dei ministri più importanti del governo). Ovviamente è donna (e che fa il governo Leopolda, non la mette una donna al Quirinale?). Pinotti sorride quando i suoi interlocutori le raccontano del chiacchiericcio attorno al suo nome, dice che fare il ministro della Difesa è il lavoro più bello del mondo ma ammette che il periodo non è semplice. Dentro e fuori. Dentro il Senato e fuori dal Senato. Dentro il partito e fuori dal partito. Dentro l’Italia e fuori dall’Italia. La nostra conversazione con il ministro arriva a sfiorare molti temi legati al presente, al governo, a Napolitano, all’opposizione, al Senato, alla legge elettorale, ma alla fine si parte da qui. Da un confine maledetto. Da un missile che parte. Da un radar che non funziona. Da un aereo che cade. Da un’Europa che non trova le parole giuste per commentare. E di reagire. “Non è accettabile – dice Pinotti – che di fronte a una tragedia come quella del volo malese Mh17 ci siano timidezze o, peggio, titubanze. Una Commissione di indagine internazionale dovrà accertare le responsabilità. Una volta accertate non si può transigere e non ci si può dividere. I ribelli filo russi hanno mostrato al mondo la loro pericolosità. E sanzioni severe contro chi ha armato questa follia sono inevitabili. Questo per quanto riguarda il presente. Ma per quanto riguarda il passato occorre un ragionamento più profondo.

 

Come siamo arrivati fin qui? Come è potuto succedere che l’Europa, e l’America, si siano perse la Russia per strada?”. Pinotti un’idea ce l’ha. “Nel 2002, durante il governo Berlusconi, non esito a riconoscerlo, l’Italia ha avuto il merito di avvicinare Russia e Stati Uniti mettendoli insieme a Pratica di Mare. Da quel giorno in poi, però, piuttosto che costruire un percorso virtuoso sono iniziati molti guai. La Russia ha avuto problemi di crescita interna, difficoltà a confrontarsi con la sua trasformazione, la tendenza a costruire nuovi assetti geopolitici ma bisogna riconoscere che il suo isolazionismo è stato incoraggiato da alcune scelte discutibili di Europa e Stati Uniti. E oggi, sanzioni a parte, rischia di essere molto complicato ricucire ciò che è stato tagliato”. Pinotti, in linea con la posizione del governo italiano e anche con la posizione del governo tedesco, sostiene (come Federica Mogherini) che sia necessario mantenere una durezza nei confronti della Russia, ma senza spezzare il dialogo. Provando a collaborare. E una collaborazione possibile, facendo roteare il mappamondo e spostandoci di qualche migliaio di chilometri più a sud, dovrà essere necessariamente in Siria. “E’ arrivato il momento di togliere il nastro adesivo dalla bocca dell’Europa e di usare la nostra diplomazia non per governare l’esistente ma per cambiare il futuro. Penso alla Siria, per esempio, e penso che l’Europa oggi ha il dovere non solo di chiedere ma di ottenere dalla Russia un intervento politico definitivo per governare la transazione e il dopo Assad. Senza lasciare la Siria in mano ai predoni jihadisti. E senza ripetere alcuni grandi errori che hanno segnato una fase drammatica della nostra epoca dopo le iniziali speranze: le primavere arabe”. Tunisia, Libia, Egitto. E poi Iraq. Prima di tornare al Senato, alle elezioni, alla riforma elettorale, il ministro prosegue il suo ragionamento e tiene il filo.

 

“A quattro anni di distanza – continua Pinotti – possiamo dire che le primavere arabe non hanno prodotto i risultati sperati. Tranne la Tunisia, unico paese che dopo il 2010 ha trovato un buon equilibrio democratico, il nord Africa e il medio oriente si ritrovano con governi dove le ribellioni hanno prodotto equilibri forse persino peggiori rispetto a quelli passati. Per carità. E’ giusto entusiasmarsi per i popoli che si liberano e si ribellano ma è una sciocchezza, e mi verrebbe da dire una follia politica, abbandonare poi quei popoli al loro destino. L’Italia – non foss’altro per la vicinanza e per gli interessi geostrategici ed economici – in una cornice di risoluzione internazionale è pronta a inviare in Libia  propri militari per sostenere l’addestramento delle truppe regolari libiche ed è pronta a dare il suo contributo dove sarà necessario. Servono interventi di protezione e di guida. Serve che i paesi occidentali capiscano che non ci si può coprire gli occhi di fronte a orrori come per esempio l’Iraq.

 

Dove nell’indifferenza generale sta nascendo una nuova centrale del jihadismo. E dove, per quanto si possa essere molto critici rispetto alle ragioni della guerra, è evidente che le truppe sono state ritirate con tempistiche non impeccabili”. In che senso? “Oggi – continua Pinotti – si tratta di ridare voce all’Europa, all’Onu e anche all’America per responsabilizzare tutti su quelle che sono le conseguenze nefaste delle primavere tradite. Ci sono centrali terroristiche schierate in troppi punti del pianeta. E lo stesso ragionamento vale per il conflitto infinito tra Israele e Palestina. E’ giusto criticare Israele quando eccede in legittima difesa ma non bisogna mai dimenticare che Israele è minacciata da stati che la vorrebbero cancellare dalla faccia della terra. E mai come in questi momenti la voce rauca e impotente dell’Europa si fa sentire più debole che mai. E se dentro l’Europa siamo lenti, macchinosi, litigiosi, inconcludenti, non veloci a capire come sia importante in queste fasi coinvolgere nel processo di pace attori importanti come l’Egitto, fuori c’è un mondo che cambia, che si ribella, che combatte in modo sanguinario e che per certi versi, come ha giustamente notato anche Romano Prodi, a causa della sua lentezza cronica può persino approfittare del nostro non essere al passo con i tempi”.

 

Fuori e dentro. Pinotti sfoglia rapidamente le pagine dell’iPad, controlla le notizie del giorno, spulcia tra i siti dei giornali e alla fine tra una cosa e l’altra siamo ancora lì. Senato, Senato, Senato. Riforme, riforme, riforme. Emendamenti, emendamenti, emendamenti. Minacce, minacce, minacce. Fuori e dentro. Noi e loro. Renzi e gli altri. Pinotti è uno dei pochi ministri a essere contemporaneamente membro del governo che vuole rottamare il Senato e membro del Senato che sarà presto rottamato dal governo e dice che vivere da questa posizione la riforma renziana ha tutto un altro sapore: apre gli occhi e fa capire quali sono anche i non detti di una svolta istituzionale. Perché “superare l’attuale Senato significa andare oltre il bicameralismo, significa semplificare il sistema legislativo, significa muovere un passo ulteriore per eliminare alcune inutili casse di compensazione che da troppi anni costringono il paese a essere lento, a non decidere, a rimandare, e io mi do tanti pizzichi sulle braccia quando sento parlare di svolta autoritaria, di tirannia, di dittatura, di fascismo”. Significa tutto questo, dice Pinotti, convinta che nonostante la scelta fatta ieri dal presidente del Senato Pietro Grasso di concedere all’opposizione il voto segreto su alcuni emendamenti del ddl Boschi, “alla fine su questo punto il governo riuscirà ad approvare il testo in prima lettura entro la metà di agosto”. Ma significa anche mettersi nella testa dei senatori che non ci stanno, che dicono no e che si ribellano. In nome di una propria convinzione politica ma anche in nome di una sfida, più che di una ripicca.

 

“Ormai qui al Senato è diventata anche una partita a scacchi che si gioca sul filo dell’orgoglio. Nessuno vuole andare a votare, il centrodestra non ha la forza, il centrosinistra non ha interesse, e tutti sanno che alla fine la riforma si farà. Ma i miei colleghi senatori con una visione sicuramente miope si sentono sfidati da un ‘ragazzo’ di 39 anni che gli chiede di abolire il loro futuro e consapevoli di perdere prima di issare la bandiera bianca provano a togliersi alcune piccole  soddisfazioni”. E il voto? Il ministro dice con un sorriso che Renzi non ha “una volpe sotto l’ascella”, cioè non bluffa, ma allo stesso tempo ammette che per come è fatto Renzi il presidente del Consiglio non avrebbe paura di andare alle urne anche con questa legge elettorale in caso di sabotaggio delle riforme al Senato. Pinotti dice di essere molto ottimista sul capitolo del Senato, dice che forse alla fine anche la Lega non voterà contro il pacchetto, dice che Berlusconi non ha interesse ad allontanarsi dal treno delle riforme e dice che in prospettiva, a parte il capitolo economico, la flessibilità in bilico, l’Europa intransigente, il lavoro che non si vede, il punto politico più delicato, anche negli equilibri con la maggioranza di governo, sarà il dossier legato alla legge elettorale. “Molte delle tensioni accumulate in questi giorni si andranno a scaricare lì”, continua Pinotti. Il ministro della Difesa dice che la legge elettorale, così come è stata originata, con il suo sistema di liste bloccate, notevole premio di maggioranza, soglia di sbarramento molto alta per i piccoli partiti, riflette in modo fedele un’attitudine del governo Renzi. Una novità importante rispetto al passato, dice Pinotti, che si potrebbe sintetizzare così: “Renzi è il primo moderno leader del centrosinistra che ha capito che dare ad un presidente del Consiglio la possibilità di governare senza dove necessariamente passare tra mille filtri e mille cuscinetti non è autoritarismo ma è l’essenza stessa della democrazia. Una democrazia forte è una democrazia che decide rapidamente, e per questo è anche importante avere a disposizione un gruppo parlamentare coeso. Questa è la premessa ma accanto alla premessa occorre fare un ragionamento politico che ci porta a dire che nei prossimi mesi ci sarà una parola che diventerà il centro della nuova discussione sull’Italicum: le preferenze. Dopo l’estate credo che ripartiremo da qui”. Il cronista fa notare al ministro che difficilmente Forza Italia accetterà una proposta del genere. Pinotti incassa la testa tra le spalle, allarga le braccia, apre le mani e dice che il problema ovviamente sarà quello. Berlusconi e il patto del Nazareno. E sul Cavaliere il ministro della Difesa esprime questo giudizio. “Berlusconi finora si è comportato in modo corretto e sono convinta che non ha interesse a cambiare strada. Al contrario di quello che si scrive però la sentenza sul caso Ruby non penso che abbia rafforzato il patto. Il patto era solido già da prima, Berlusconi aveva garantito che non avrebbe fatto scherzi anche in caso di condanna e oggi, semmai, quella sentenza rafforza l’ex presidente all’interno del centrodestra. Al di là dei giudizi personali che si possono dare sui nostri avversari, dal mio punto di osservazione mi verrebbe da dire che la linea della riaggregazione è una linea scontata, Ncd volendo. E’ quasi la cronaca di una sorte annunciata. E penso che più Berlusconi sarà vicino al percorso delle riforme più avrà la forza di imporre la sua linea nel suo partito”. E Ruby? Pinotti dice che la prima cosa che le viene in mente rispetto alla clamorosa assoluzione di Berlusconi è il commento ironico del suo collega forzista Maurizio Paniz, “Vedi che alla fine era davvero la nipote di Mubarak?”, ma rispetto al singolo processo il ministro ammette che nel passato il centrosinistra ha commesso qualche peccato non proprio veniale. “Berlusconi rappresenta sotto mille aspetti una grande anomalia della politica ma dobbiamo riconoscere che anomali sono stati anche molti atteggiamenti dei suoi avversari che troppo spesso hanno oggettivamente provato a utilizzare per fini politici delle vicende che invece dovevano restare meramente giudiziarie. E se oggi l’assoluzione ha un valore politico è solo ed esclusivamente perché precedentemente qualcuno aveva dato all’inchiesta un valore ultra politico”.

 

Anche Pinotti, come Renzi, sostiene che “il Pd di oggi è un partito che ha un volto garantista e che non intende strumentalizzare i processi”. L’affermazione, in realtà, almeno così appare al cronista, è in palese contraddizione con un fatto grave capitato alla Camera due giorni fa, dove il Pd si è rifiutato di concedere un rinvio sul voto relativo all’arresto di Giancarlo Galan e ha mostrato ancora una volta il suo volto manettaro (“Negare la richiesta di rinvio presentata da Galan, il quale era in ospedale e chiedeva di essere sentito in Aula prima del voto, mi è sembrata – ha scritto ieri sul suo blog il deputato renziano del Pd Alfredo Bazoli – una decisione irragionevole, che ha finito per calpestare i più elementari principi di civiltà giuridica, che prevedono in qualunque procedimento di natura penale la possibilità per l’imputato di essere presente in aula e di essere ascoltato). Il ministro non concorda sul fatto che sul caso Galan il Pd abbia seguito le sirene del grillismo. Rivendica il fatto che “non ci sono più esponenti del Pd che provano a dare dignità politica alle parole in libertà di alcuni magistrati” (Pinotti si riferisce al duro attacco contro il governo Renzi arrivato alcuni giorni fa dal procuratore di Palermo Nino Di Matteo che ha scomunicato il presidente del Consiglio per aver scelto di fare riforme con un condannato). Ma il rischio di grillizzarsi è sempre dietro l’angolo. In Parlamento Pinotti lo ha vissuto sulla sua pelle quando il Pd a trazione grillina, a maggio, è andato contro il governo chiedendo una moratoria sugli F-35. Anche se l’episodio più significativo di “grillizzazione” del Pd Pinotti lo individua in quella che forse è la fase più importante della legislatura. “Personalmente sono felice del fatto che oggi il presidente della Repubblica si chiami Giorgio Napolitano ma non posso non riconoscere che molti miei colleghi quando si è trattato di votare per il presidente della Repubblica sono stati condizionati da un meccanismo mediatico. Agendo non secondo una propria convinzione ma secondo quello che veniva chiesto loro dai propri followers, su Twitter, su Facebook, dalla famosa ‘base’. La politica deve sempre mostrare indipendenza e autonomia, assumendosi responsabilità. E spero che questa volta quando sceglieremo un nuovo capo dello stato il Parlamento sia in grado di non farsi dettare la linea da Twitter”.  

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.