I festeggiamenti per la vittoria della Coppa del Mondo in Germania (Foto Ap)

Germania campione, la festa sobria dei tedeschi a Monaco

Giovanni Battistuzzi

La vittoria della Coppa del Mondo è già alle spalle, archiviata nell’albo dei ricordi e quasi non sembra di camminare in una delle più grandi città di un paese che ha appena vinto i Mondiali di calcio.

Monaco di Baviera. Il giorno dopo la grande vittoria, Monaco si risveglia presto e al solito modo, pronta per andare a lavorare. La vittoria della Coppa del Mondo è già alle spalle, archiviata nell’albo dei ricordi e quasi non sembra di camminare in una delle più grandi città di un paese che ha appena vinto i Mondiali di calcio. Resta qualche traccia nelle macchine addobbate con bandiere e coprispecchietti con il tricolore tedesco, anche se quelli erano messi nelle settimane precedenti, qualche maglia della nazionale che continua ad essere indossata, ma vale lo stesso discorso di prima, infine qualche coro, che parte casualmente dalla gioia di un omaccione con ancora la bandiera tedesca dipinta sul volto e viene intonato da molti: “Deutschland ist den besten Klub der Welt”, ovvero la Germania è la migliore squadra al mondo, cantatata sulle note, classiche, del nostro “Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi”. E’ coro di festa, certamente, ma di una festa che è quasi una constatazione, quasi non ci fosse poi tanto da festeggiare, perché era chiaro a tutti che sarebbe andata a finire così. I tedeschi lo sapevano già da giorni, era tutto chiaro, evidente. “Non può andare altrimenti, siamo la squadra più forte”, dicevano in molti nei giorni precedenti alla finalissima. Giornalisti e persone comuni, tutti convinti, anzi certi, che la Germania avrebbe trionfato in quanto, “è una squadra e non qualche giocatore affianco a Messi” come scriveva il Tz.

 

Una sconfitta non era stata preventivata. La Germania sarebbe divenuta Weltmeister, campione del mondo, non poteva andare altrimenti. Lo si vedeva nelle bandiere, nelle magliette, nei volti dei tifosi che, come tradizione vuole, lasciano le loro case e si riversano nei molti biergarten della capitale della Baviera. La Germania dev’essere visione collettiva, festa o sconfitta la si deve affrontare assieme. E poi la birra è lì che scorre, è li che cade a litri nei boccali. Perché la birra è calcio, come le parate di Neuer, un tripudio di applausi ad ogni suo intervento, come le cavalcate di Lahm, applauditissimo, le giocate di Müller, idolo nella sua Baviera e quelle di Schweinsteiger, chiamato da tutti Schweini ovvero maialino. Eroi di Germania, in salsa Bayern.

 

E così la partita è stata un’attesa del gol che avrebbe eletto la nazionale campione del mondo. E poco importa se i minuti passano e i bianchi non riescono a metterla dentro, se Higuain si divora l’1-0 solo davanti a Neuer dopo uno sventurato tocco all’indietro a centrocampo, se lo stesso Higuain segna, ma in evidente fuorigioco, se Howedes prende il palo di testa da due metri e Palacio sul finale dei tempi regolamentari sbaglia il pallonetto che avrebbe portato in vantaggio l’Argentina. Doveva essere festa. La squadra migliore avrebbe vinto. E così, dopo gli applausi dell’intero biergarten a Klose, Monaco si stringe attorno a Götze, sicura che o lui o Schürrle avrebbe prima o poi segnato. E così quando l’esterno del Chelsea crossa, il 22enne del Bayern la stoppa al volo, tutti capiscono che quello è il momento. Il gesto tecnico di Mario è conseguenza, la palla che entra nella porta difesa da Romero, giustizia. L’1-0 è un tutti in piedi, è un “Deutschland, Deutschland” gridato, è vittoria. Ma è esultanza controllata, niente a che vedere con un qualunque gol degli azzurri in un qualunque Mondiale. Non ci sono abbracci, non ci sono persone impazzite che saltano e che urlano, ci sono cori, ma quelli di tutti i giorni, non prese in giro all’avversario, ma dignitoso festeggiamento. Sangue teutonico, per niente latino.

 

Il triplice fischio finale segnala la fine della partita e l’inizio dei festeggiamenti. Ma anche qui accade qualcosa che poco o nulla ha a che vedere con quanto è successo nelle nostre città. C’è compostezza e sobria esultanza. Ebbra di sicuro, visti i maß (ovvero i boccali da litro) bevuti, ma rispettosa e nemmeno troppo urlata. C’è il cerimoniale, la Coppa alzata, poi le foto, la festa. La gente lascia i biergarten e scende nelle strade. Il ritrovo è Marienplatz, la piazza più grande e famosa della città. Ma è processione composta, rumorosa sì, ma con parsimonia. Cori standard, bandiere standard, maglie standard. Nelle metropolitane si canta, ma abbassando i decibel, quasi per non disturbare troppo gli altri passeggeri. Nelle strade le macchine suonano il clacson, c’è gente che spunta da tettucci apribili e finestrini, bandiere che sventolano per la velocità delle automobili, trombette in plastica che spezzano il quieto vivere cittadino. Ma chi è sulle strade guarda e applaude, non si fa protagonista. Non ci sono le macchine bloccate e scosse, non ci sono bagni di birra o di Prosecco, non ci sono tuffi nelle fontane, i petti nudi utilizzati come tele per disegnarci coppe o scritte.

 

Il Mondiale è vinto, il quarto. Spuntano riproduzioni di coppe del mondo, la gente le bacia e se le passa. Poi c’è la birra, infine applausi ai campioni. Poi il ritorno, la processione piena di sorrisi verso le proprie case, nei quartieri dove si vive, che sono silenziosi come sempre, perché la gente si deve riposare e non è giusto fare troppo casino. La festa è in centro, il resto dorme. C’è centralità, non diffusione. Sono i campioni del Mondo, ma tanto già lo sapevano, tanto già se lo immaginavano, tanto già era tutto previsto. Festeggiamo e ubriachiamoci, ma domani ci si alza e la vita continua. Come sempre.