La sede dell'Istat (Foto La Presse)

L'industria della lagna non chiude mai

Redazione

Almeno l’Istat non ceda alle correlazioni facili tra crisi e depressione.

Istat: la crisi peggiora la salute mentale. In Italia 2,6 milioni di depressi”: così l’Istituto di statistica ha presentato il rapporto “Tutela della salute e accesso alle cure”. Che su 30 cartelle si sia puntato sul legame depressione-recessione, per conquistare qualche titolo dei tg, è confermato dal relativo capoverso: “Depressione, il problema di salute mentale più sensibile alla crisi”. A volerla prendere sul serio si potrebbe obiettare che con il 4,3 per cento di depressi l’Italia resta in fondo alle graduatorie europee, che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità continuano a essere capeggiate dai paesi nordici: repubbliche baltiche e Finlandia con percentuali del 20; mentre nel Club Med la Francia presenta il 12 per cento. Paesi che ci sopravanzano nel rating, nell’occupazione, nel welfare né hanno problemi di debito pubblico: l’Estonia ha appena il sei per cento di depressi.
Pochi giorni fa l’Istat aveva lanciato pure l’allarme alimentare: si consuma meno carne e si va più al discount. Scoprendo che si mangia un po’ meno pasta e davanti allo scaffale si sceglie l’offerta migliore e il prezzo più basso. Cioè quello che in tutto il mondo si fa da sempre. Appena ieri i centri di ricerca ci accusavano di essere pastasciuttari e consumisti, recordman di cellulari e macchinette; oltre a riempirci casa di medicine. Ora contrordine: anche l’Istat sembra voler investire nel piagnonismo nazionale e nella lagna perpetua. Lasci fare alla Caritas che conosce meglio il terreno. Gli inglesi sotto le bombe tedesche si vantavano di andare al cinema e a ballare. A noi per uno zero virgola di pil piace dichiararci tutti depressi.

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