Stampare moneta illude i mercati? Le idee di Fmi e Bri. Draghi al bivio

Giorgio Arfaras

La deflazione sta occupando la scena mediatica. Nell’Eurozona si registra una crescita sempre più contenuta dei prezzi al consumo – essi crescono intorno allo 0,5 per cento, mentre l’obiettivo della Banca centrale europea è quello di vederli crescere appena sotto il 2 per cento.

La deflazione sta occupando la scena mediatica. Nell’Eurozona si registra una crescita sempre più contenuta dei prezzi al consumo – essi crescono intorno allo 0,5 per cento, mentre l’obiettivo della Banca centrale europea è quello di vederli crescere appena sotto il 2 per cento. Questa crescita dei prezzi molto contenuta – questa inflazione modesta – è ormai chiamata “deflazione”, laddove invece, col termine, si intende che il livello dei prezzi flette. Si hanno due preoccupazioni.

 

La prima è relativa ai consumi di beni e servizi. Se mi aspetto che i prezzi in futuro fletteranno, ecco che rimando gli acquisti. La seconda è più importante. Se la crescita reale dell’economia è intorno all’1 per cento e quella nominale – ossia con inflazione – è intorno al 2 per cento, si ha una crescita finale del pil del 3 per cento. Con la stessa crescita reale e con un crescita nominale intorno a zero, si ha una crescita del pil insignificante. A quel punto il rapporto debito pubblico/pil, che in Italia è già un numero molto alto, non si “schioda”. Il rapporto si calcola, infatti, dividendo lo stock del debito per il pil a prezzi correnti.

 

Per questo motivo il Fondo monetario internazionale invita la Bce a fare in modo che la modesta inflazione non diventi deflazione, anzi che risalga verso l’obiettivo del 2 per cento. Ciò che avverrebbe con una politica monetaria “non ortodossa”, ossia con l’acquisto di obbligazioni pubbliche e private, come hanno fatto gli Stati Uniti con il Quantitative easing. Ecco i passaggi. Se non si ha inflazione, l’onere del debito pubblico cresce. Si dovrebbero fare manovre di correzione dei conti pubblici che deprimerebbero l’economia. Si avrebbe una spirale al ribasso. Se il debito pubblico fosse, invece, sostenuto dagli acquisti della Bce, esso avrebbe dei rendimenti inferiori (dei prezzi maggiori) a quelli che si formerebbero senza gli acquisti della “mano pubblica”. Il costo del debito pubblico non andrebbe fuori controllo. Inoltre, i bassi rendimenti del debito pubblico spingerebbero gli investitori in cerca di rendimento all’acquisto di obbligazioni private, ciò che ridurrebbe il costo del debito delle imprese. In ogni modo, la Bce comprerebbe anche le obbligazioni private. Senza spirali al ribasso indotte dalla crescita dei debiti pubblici e con un costo del capitale per le imprese contenuto, le cose potrebbero migliorare, e portare i prezzi dei beni e servizi verso il due per cento.

 

[**Video_box_2**]Si ha chi, invece, è scettico sull’efficacia di questa proposta. Secondo la Banca dei regolamenti internazionali (Bri), non tutte le deflazioni sono maligne. Si è avuta una sola esperienza di deflazione, negli anni Trenta, perché anche quella giapponese degli ultimi decenni, alla fine, ha prodotto una flessione del livello dei prezzi molto contenuta. Le deflazioni benigne – o meglio le dinamiche inflazionistiche contenute – sono quelle durante le quali i prezzi dei beni scendono, perché scendono i prezzi dei beni offerti, come sta avvenendo con la globalizzazione. La preoccupazione della Bri non è la deflazione nel campo dei beni e dei servizi, ma l’inflazione nel campo delle attività mobiliari e immobiliari. Le azioni sono care, come le obbligazioni e come le abitazioni. Inoltre, da molte parti, non si è ridotto il debito delle famiglie in misura sufficiente. Se si continua a sostenere il prezzo delle attività attraverso i tassi bassi – o negativi tenendo conto della pur modesta inflazione – e le politiche di acquisto delle obbligazioni, ossia se le Banche centrali continuano con le politiche correnti, si ottiene che i loro prezzi si allontanano sempre più dai fondamentali, ossia dalla loro “sostenibilità”. Il che, prima o poi, porta a una crisi, perché i prezzi delle attività vanno giù fino a quando non trovano un “fondamento” che li sostenga. Insomma, secondo la Banca dei regolamenti internazionali, più si spingono le attività all’insù, come la pubblicità del caffè, più, prima o poi, andranno giù, con effetti molto negativi.

 

Abbiamo perciò due visioni. Quella che afferma che le cose vanno riparate oggi senza pensare al domani, o, meglio, che le cose peggiori vanno comunque evitate, e quella che asserisce che il riparare le cose oggi ipotecando il domani è pericoloso. Che visione scegliere?

 

La responsabilità delle Banche centrali sono enormi. Se continuano con le politiche ultra espansive salvano le cose oggi, ma aumentano l’onere futuro dell’aggiustamento. Esempio pratico. Scenario uno: si abbia deflazione e crescita molto modesta. L’onere del debito pubblico cresce. Le manovre di controllo vanno fatte, e ciò peggiora le cose, ma si ha un gran attivismo della Banca centrale. Scenario due: si abbia di nuovo deflazione e crescita molto modesta. Si hanno le riforme sul lato dell’offerta, che migliorano la crescita futura, ma non si ha un grande attivismo della Banca centrale. Se gli investitori sono “miopi” non attendono la crescita e puniscono il debito pubblico. Viceversa, se sono lungimiranti.

 

Insomma, il Fondo monetario internazionale assume che gli investitori alla fine siano miopi, mentre la Banca dei regolamenti internazionali assume che potrebbe accadere il contrario. Non potendo sapere quale delle due assunzioni contrapposte sia quella giusta, possiamo arguire che la Banca centrale europea e tutti noi siamo di fronte a una scelta non proprio facile.

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