In Messico Peña impone la legge di mercato a quel duro di Slim

Redazione

Il presidente ha vinto la sua prima battaglia in molti mesi, l’effetto è stato enorme, perché lo sconfitto era il secondo uomo più ricco del mondo.

Da qualche settimana intorno al presidente del Messico, Enrique Peña Nieto, sono iniziati a circolare alcuni dubbi. Le riforme, quelle per cui nell’ultimo anno la stampa internazionale lo ha acclamato come il salvatore del Messico, sono state approvate tutte, o sono già ben avviate. Ma il passaggio definitivo, l’approvazione delle “leyes secundarias”, i provvedimenti attuativi che dovrebbero applicare e specificare il contenuto delle riforme, ci sta mettendo troppo ad arrivare. Con un’economia che ancora non decolla, e con riforme nei campi dell’energia, dell’istruzione, dell’Antitrust, delle telecomunicazioni, della finanza e del fisco che sono sì grandiose, ma che hanno bisogno di tempo per entrare a regime e avere effetto, chi aveva scommesso sul miracolo messicano stava iniziando a preoccuparsi. A fine giugno il Parlamento ha rimandato il dibattito sui provvedimenti attuativi della riforma sulla liberalizzazione del petrolio (non è bastato l’espediente furbo del governo, che aveva calendarizzato il dibattito nelle date delle partite del Messico ai Mondiali). Se ne riparlerà a fine estate, ma per Peña non è stato un buon segno. E anche se gli investitori continuano ad arrivare e il Messico resta uno dei paesi più promettenti del mondo (a fine giugno la Nissan e la Daimler hanno annunciato un investimento di 1,4 miliardi di dollari per nuove fabbriche di automobili), la scorsa settimana l’Economist faceva notare che in patria le riforme di Peña Nieto non stanno suscitando lo stesso entusiasmo di quelle dell’Italia di Matteo Renzi o del Giappone di Shinzo Abe. Il consenso del presidente è in calo da mesi, la borghesia di Città del Messico ha deciso di attendere che i risultati arrivino e la sinistra nazionalista lo accusa di essere al soldo dei gringos e dei poteri forti. Così martedì, quando Peña ha vinto la sua prima battaglia in molti mesi, l’effetto è stato enorme, perché lo sconfitto era il secondo uomo più ricco del mondo.

 

[**Video_box_2**]Il Parlamento messicano ha approvato la riforma delle telecomunicazioni studiata per liberalizzare un mercato che oggi è monopolio di due grandi compagnie, América Móvil di Carlos Slim, che detiene l’80 per cento del mercato della telefonia fissa e il 70 di quella mobile, e Televisa, che domina il mercato televisivo. Negli scorsi mesi contro questa legge, che prevede che nessun operatore possa detenere più del 50 per cento delle quote di mercato, pena l’esborso di somme notevoli in favore dei concorrenti svantaggiati, c’è stata una battaglia durissima, che Slim aveva combattuto con ogni mezzo e che era costata al governo accuse e polemiche e compromessi. Per Peña l’annuncio della vittoria è arrivato martedì, quando América Móvil ha spiegato in un comunicato rancoroso che per anticipare l’entrata in vigore della legge e rientrare nei parametri previsti contro i monopoli metterà in vendita una quota enorme dei suoi asset, quasi il 30 per cento, in un’operazione che varrà circa 20 miliardi di dollari. E’ un movimento grandioso, che probabilmente permetterà a un grande player internazionale come Verizon, Softbank o Huawei di entrare nel mercato, aumentare la concorrenza e ottimizzare prezzi e servizi. In Messico il dominio di América Móvil, che risale agli anni 90, è mal sopportato, i prezzi sono alti e gli episodi dei malfunzionamenti della rete di Slim leggendari. Il mercato televisivo subirà sommovimenti simili, e per questo la sconfitta per Slim potrebbe non essere così grave: perdere il ruolo di monopolista gli consentirà l’accesso al business della tv – e questo significherà più competizione per tutti.
A chi chiedeva riforme e risultati Peña Nieto ha dato una risposta che placa molti dubbi. Le “leyes secundarias” per la riforma energetica saranno il prossimo passo, in Messico c’è ancora un buon esempio per molti governi europei.

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