Tramonto sulla striscia di Gaza (foto Ap)

Sirene a Tel Aviv

Hamas minaccia il “terremoto”. Abu Mazen può evitarlo?

Rolla Scolari

Più di cento razzi su Israele, strike su Gaza. “Toglietevi i guanti”, dice Bibi

Milano. E’ scattata nelle prime ore di ieri l’operazione militare israeliana su Gaza – Operation Protective Edge – con l’obiettivo di mettere fine al lancio di razzi dalla Striscia sul sud d’Israele. Per la prima volta in oltre 20 mesi, dal termine della breve guerra del novembre 2012, Hamas, il gruppo islamista che controlla la Striscia, ha rivendicato il lancio di missili. E in una significativa escalation, in serata le sirene hanno suonato a Tel Aviv, settanta chilometri a nord di Gaza, con circa centoventi razzi caduti in territorio israeliano. I raid dell’aviazione di Tsahal, martedì, hanno ucciso almeno 15 persone, secondo fonti palestinesi, e due miliziani sarebbero stati uccisi dopo essersi infiltrati in Israele. Il governo di Gerusalemme ha approvato la richiesta dell’esercito per il possibile utilizzo di 40 mila riservisti e un numero di truppe non specificato dall’esercito sarebbe già stato richiamato.
Fonti interne all’ufficio del premier hanno fatto sapere che Israele si sta preparando a ogni eventualità, che un’invasione di terra è sul tavolo. Il braccio armato di Hamas a Gaza ha minacciato “un terremoto” in risposta ai raid aerei. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, finora cauto, avrebbe ordinato all’esercito “di togliersi i guanti” con una significativa intensificazione delle operazioni militari, il suo ministro della Difesa, Moshe Yaalon, ha parlato della possibilità di una campagna lunga. Secondo un funzionario del governo, in realtà i ministri vorrebbero evitare un’azione su larga scala. Ora che le sirene hanno suonato anche a Tel Aviv (il razzo è stato intercettato dal sistema antimissilistico Iron Dome ed è stato rivendicato dal Jihad islamico) l’operazione israeliana potrebbe però prendere un peso diverso.

 

Hamas è debilitato dalla campagna israeliana delle settimane scorse in Cisgiordania, dalla continua azione del vicino egiziano contro i tunnel del contrabbando, con gravi problemi finanziari e isolato e guarda al Cairo e all’Anp di Abu Mazen per trovare un mediatore capace di venire incontro alle sue richieste: la riapertura del valico di Rafah con l’Egitto, la liberazione di tutti i prigionieri rilasciati con l’accordo Shalit (nel 2011) e arrestati di nuovo nelle scorse settimane, il trasferimento di salari ai suoi funzionari pubblici. Per i militari al potere in Egitto, Hamas – costola di quei Fratelli musulmani fuorilegge e non più tollerati al Cairo – è elemento d’instabilità per il Sinai e un suo indebolimento anche per mano d’Israele andrebbe a loro vantaggio. Ma che ruolo ha o può avere Abu Mazen?

 

[**Video_box_2**]L’anziano leader dell’Autorità palestinese è a un bivio, e il suo equilibrio è fragile da sempre. Per Israele e la comunità internazionale, Abu Mazen è l’unico partner possibile per costruire la pace. Ancora ieri ha ricevuto un endorsement del presidente americano Barack Obama, che in un editoriale sul quotidiano israeliano Haaretz ha scritto: “Nel presidente Abu Mazen, Israele ha la sua controparte impegnata per una soluzione a due stati”. Nei giorni nervosi dell’operazione militare israeliana in Cisgiordania delle scorse settimane, Abu Mazen ha condannato con parole decise il rapimento dei tre giovani israeliani e le sue forze di sicurezza hanno cooperato con Israele. Ma la sua popolarità interna dipende da Hamas. E’ per questo che ha deciso di fare un governo di unità nazionale, che ora sembra quanto mai inadeguato per gestire l’escalation, ma che è la sintesi della strategia bipolare di Abu Mazen. Che intanto deve gestire anche la sua successione, manovra più difficile ora che l’equilibrismo con Hamas non può durare.

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