Margaret Thatcher (Foto La Presse)

Sbugiardate le tesi pauperiste di Rep. sugli inglesi in miseria

Luciano Capone

“Mezzo milione di bambini soffre la fame, colpa di Thatcher”. L’articolo spopola, ma è un inganno. Bastava leggere il rapporto

Milano. Mentre i dati ufficiali indicano la Gran Bretagna come uno dei paesi più ricchi del mondo e il paese europeo con la ripresa economica più forte, Repubblica dipinge una realtà molto diversa, del ritorno a una società dickensiana. L’Inghilterra è un paese pieno di miseria, con “18 milioni di persone senza abitazioni degne”, “che non riesce a sfamare mezzo milione di bambini” e con il “33 per cento della popolazione sotto il livello di povertà”. L’articolo, dal titolo “Un inglese su tre è povero: mezzo milione di bambini soffre la fame”, è stato uno dei più condivisi sui social network nei giorni scorsi e dice che negli ultimi trent’anni il “tasso di povertà” è più che raddoppiato dal 1983. La responsabilità non può che essere di Margaret Thatcher e delle sue riforme economiche “all’insegna del liberismo e delle privatizzazioni” che hanno portato la povertà “a livelli da Terzo Mondo”. Le riforme della Thatcher, insomma, hanno ingrassato gli avidi speculatori e impoverito gli altri: si sono arricchiti gli Scrooge e i Fagin mentre sono rimasti nella miseria i David Copperfield e gli Oliver Twist. I dati sono di una ricerca del Poverty and Social Exclusion Project, pubblicati in Inghilterra da un altro giornale di sinistra, il Guardian, che però s’è astenuto dal fare propaganda spicciola sulla Lady di Ferro. In questo scenario apocalittico la scelta di migliaia e migliaia di giovani italiani ed europei che fuggono in Gran Bretagna in cerca di fortuna somiglierebbe alla migrazione dei lemmings, un suicidio di massa verso la povertà. Per capire che si tratta invece di una scelta razionale e che la realtà è molto diversa da quella descritta da Rep. basta andare oltre le poche cifre esposte nell’articolo e leggere lo studio: si scopre che è un sondaggio e che il “tasso di povertà” non è quello normalmente inteso, basato su un criterio oggettivo come il reddito. Nella ricerca infatti non si parla di “povertà assoluta” (ovvero un reddito tra uno e due [**Video_box_2**]dollari al giorno) né “relativa” (reddito inferiore al 60 per cento del reddito mediano), ma di “povertà percepita”: è povero chi non può permettersi almeno “tre beni considerati socialmente necessari”. Ma come sono stati scelti questi beni? I ricercatori hanno sottoposto a un campione di inglesi un questionario sui “beni considerati socialmente necessari”, le voci ritenute indispensabili da oltre il 50 per cento degli intervistati sono entrate a fare parte di una lista di 35 voci e coloro i quali tra gli intervistati non potevano permettersi solo tre di questi beni sono stati inseriti tra i “poveri”. Per capire quanto siano poveri gli inglesi bisogna capire quali siano questi “beni socialmente necessari”. Oltre a bisogni essenziali (di una società ricca) come avere una casa riscaldata, due pasti al giorno, frutta e verdura tutti i giorni, cappotto invernale e scarpe nuove, ci sono anche bisogni meno primari come lavatrice, telefono, computer, internet, avere un hobby, un abito elegante per un colloquio di lavoro e poter festeggiare eventi speciali. Per i bimbi invece è necessario avere un giardino per giocare, andare a lezioni sportive e fare almeno una gita scolastica l’anno. Pare basti non essere ricchi per essere poveracci. Il confronto con il passato è difficile da fare, visto che il paniere si modifica e diventano “beni socialmente necessari” cose che solo qualche anno prima erano un lusso. Il concetto soggettivo di “povertà percepita” inoltre può portare a conclusioni paradossali per chi è favorevole alla redistribuzione della ricchezza: se si conducesse lo stesso sondaggio con la stessa metodologia nei paesi del Terzo Mondo, probabilmente emergerebbe che in molte nazioni il tasso di povertà percepita è più basso che a Londra. Quindi, per riequilibrare questa diseguaglianza, i paesi sottosviluppati dovrebbero aiutare le potenze industriali che non possono garantire un hobby ai propri cittadini. La Thatcher lo diceva che alla lunga la redistribuzione danneggia i poveri.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali