Unioni civili gay, quello che il testo di legge promette (e minaccia)

Nicoletta Tiliacos

Lascia abbastanza perplessi, per non dire basiti, il testo unificato del decreto legge sulle unioni civili che, dopo alcuni emendamenti, il governo proporrà a settembre per l’approvazione in Parlamento, così come ha promesso il premier Matteo Renzi.

Lascia abbastanza perplessi, per non dire basiti, il testo unificato del decreto legge sulle unioni civili che, dopo alcuni emendamenti, il governo proporrà a settembre per l’approvazione in Parlamento, così come ha promesso il premier Matteo Renzi. Accantonato, almeno per ora, un ingombrante e arcigno testo di legge sull’omofobia che scontentava anche alcuni esponenti del Pd per i suoi contenuti palesemente illiberali e lesivi della libertà di espressione, si è deciso di passare direttamente a una riforma (presunta) “soft” dell’istituto famigliare, approfittando di fattori che vanno dallo stato di grazia post europee goduto dalla maggioranza fino alla sostanziale disponibilità di gran parte di Forza Italia. Mentre spicca il silenzio-assenso dei piani alti della Conferenza episcopale italiana, che si accinge a imitare quella francese in occasione dello scontro sul “mariage pour tous”, come se quell’esperienza non avesse insegnato nulla.

 

E’ tutt’altro che soft, il cambiamento del regime famigliare proposto dal testo di legge. Inizialmente pensate sia per coppie etero sia per coppie omosessuali, sappiamo soltanto che le unioni civili in preparazione e oggetto del futuro decreto saranno alla fine solo quelle formate da persone dello stesso sesso, come accade in Germania, perché in Italia sono le uniche a non poter contare attualmente su nessuna possibilità di formalizzazione. Alla base della restrizione, la (molto pragmatica e molto germanica) consapevolezza che benefici onerosi per lo stato, come la reversibilità della pensione e certi vantaggi fiscali di coppia, se diventassero generalizzati potrebbero comportare seri problemi per la tenuta dei conti previdenziali.

 

Proprio per questo, allora, ci si chiede che fine faranno alcuni articoli che il testo prevede nella forma attuale, ancora non emendata. Ai firmatari del “patto di convivenza” tra persone dello stesso sesso, affidato a un apposito registro presso l’ufficiale di stato civile del comune, saranno esplicitamente attribuiti tutti i diritti e tutti i doveri discendenti dal matrimonio, ivi compresi i benefici fiscali, la reversibilità della pensione e l’assegno degli alimenti in caso di cessazione del vincolo. Nel caso (articolo 6) di richiesta di cessazione presentata solo da una delle parti e resa nota per iscritto all’altra parte, tutti gli effetti del patto di convivenza saranno “protratti per un anno dalla data di presentazione della domanda di cessazione”.

 

[**Video_box_2**]E’ curioso, a questo proposito, che invece per chiudere un matrimonio siano sufficienti, con la nuova legge sul divorzio breve, solo sei mesi di separazione. Si obietterà che in un caso il patto si rompe per volontà di una parte, mentre il divorzio breve è attuabile se entrambi i coniugi sono d’accordo. Ma colpisce la circostanza che se un coniuge divorziato può risposarsi il giorno dopo, in assenza di consenso “tutti gli effetti del patto di convivenza sono protratti per un anno dalla data di presentazione della domanda di cessazione”, e quindi il recedente potrà contrarre un matrimonio con una persona diversa dall’altra parte del patto solo “dopo un anno dalla presentazione della richiesta di cessazione in caso di recesso unilaterale”.

 

Ma la parte più insostenibile, visto che nel testo del ddl si fa riferimento a coppie etero e omosessuali, è quella in cui, all’articolo 12, si statuisce che “la parte del patto di convivenza è considerata genitore dei figli nati in costanza del patto o che si presumano concepiti in costanza di esso”.

 

Abbiamo capito bene? Simone Pillon, presidente del Forum delle famiglie dell’Umbria, dice al Foglio che, attenendoci alla lettera del testo attuale, “tutti i figli nati da uno dei due ‘pattisti’ dello stesso sesso attraverso fecondazione eterologa all’estero o utero in affitto, come già avviene, sarebbero automaticamente riconosciuti come figli anche dell’altro convivente che avesse stipulato il patto di convivenza”. Anche qui, come in Francia, il divieto di eterologa per coppie dello stesso sesso potrebbe così essere aggirato, con la prospettiva di veder attribuito automaticamente lo status di genitore a chi non lo è.

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