Nel nord dell'Iraq

Meno male che c'è questo super Kurdistan contro lo Stato islamico

Carlo Panella

I peshmerga curdi costituiscono oggi l’unica trincea solida contro l’avanzata dello Stato islamico in Iraq come in Siria, dove sono la sola forza di opposizione a Bashar el Assad che abbia saputo contrastare i jihadisti sul campo. Una capacità di resistenza che si basa sulla solidità democratica, politica ed economica del Kurdistan iracheno.

    Parigi. I peshmerga curdi costituiscono oggi l’unica trincea solida contro l’avanzata dello Stato islamico in Iraq come in Siria, dove sono la sola forza di opposizione a Bashar el Assad che abbia saputo contrastare i jihadisti sul campo. Una capacità di resistenza che si basa su un dato di fatto fondamentale per tutto il medio oriente: la solidità democratica, politica ed economica del Kurdistan iracheno. I due leader curdi, Jalal Talabani, presidente della Repubblica dell’Iraq e Massoud Barzani, presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno, hanno infatti definito una leadership forte e articolata che funge da sicuro baricentro per risolvere tutte le crisi dell’area.

     

    Oggi costituiscono l’unico forte presidio politico-militare contro lo Stato islamico, come ieri sono stati i garanti dell’inizio del processo di pace tra la Turchia di Tayyp Erdogan e il Pkk di Abdullah Ocalan, così come sono la retrovia sicura per i curdi siriani del Pyd (e del più piccolo Pkk) che hanno cacciato sia le truppe di Assad sia lo Stato islamico dal Kurdistan siriano. Il tutto con un risvolto economico: la stabilità politica e la forza militare dimostrate dal Kurdistan iracheno ne hanno fatto (con la Turchia e Israele, da sempre alleata dei curdi) l’unica regione del medio oriente a elevato sviluppo economico. Dal 2003 a oggi, un polo in grado di attrarre una decina di miliardi di dollari di investimenti esteri – in primis turchi – e di canalizzare una quindicina di miliardi di dollari di imprenditori curdi e di finanziamenti statali nello sviluppo di infrastrutture e industrie.

     

    Di fatto, nel Kurdistan iracheno si stanno realizzando con successo gli obiettivi definiti da Paul Wolfowitz e dai neoconservative che ispirarono la guerra di Georges W. Bush contro Saddam Hussein. Si è costituito un nucleo di democrazia nascente – sia pure ancora appesantito da potentati tribali – molto stabile, economicamente vivissimo, che funziona da agente di stabilità per tutta l’area. Esattamente lo scenario opposto a quello delineato dagli avversari di George W. Bush che si dicevano certi che l’irredentismo curdo avrebbe definitivamente terremotato la regione. Come si è inoltre visto, i peshmerga curdi mostrano di essere l’unica forza militare in grado di contrastare il terrorismo islamico.

     

     

    Questi successi sono il frutto della strategia sviluppata da Talabani e Barzani dopo il 2003. Capovolgendo un cinquantennio di disastrose iniziative militari dei loro padri (che si allearono con tutti e contro tutti) e forti dell’esperienza della guerra civile curda che li portò a combattersi nei primi anni Novanta, sotto la regia di Saddam Hussein, i due leader hanno fatto dell’alleanza con la Turchia il baricentro delle proprie linee d’azione. Hanno offerto a Tayyip Erdogan tre preziose opzioni: fornitura diretta di petrolio a basso prezzo dai giacimenti del Kurdistan, possibilità di espansione territoriale a est dell’impetuoso sviluppo industriale dell’Anatolia e infine, come s’è detto, garanzie reciproche (e segrete) per l’inizio del tormentato processo di pace con il Pkk di Ocalan (35.000 le vittime in Turchia in 20 anni). Gli accordi diretti per la fornitura di petrolio curdo alla Turchia, attivati materialmente nelle scorse settimane, hanno provocato l’anno scorso una dura reazione del governo di Baghdad. Il premier iracheno Nouri al Maliki ha minacciato fuoco e fiamme, ha mandato la Guardia nazionale a presidiare i campi petroliferi di Mosul e si è sfiorato lo scontro militare. Ma quando quella stessa Guardia nazionale irachena si è squagliata al sole di fronte all’attacco dello Stato islamico, i peshmerga curdi l’hanno sostituita in poche ore imponendo il loro presidio militare su Kirkuk (città contesa dal 2003 a Baghdad) e su tutti i campi petroliferi del nord. Oggi la metà del petrolio iracheno è controllata dal governo del Kurdistan che già lo fornisce direttamente alla Turchia.

     

    Però l’Iran si schiera contro Manca ancora, alla costruzione di fatto e senza traumi – anzi, come fonte di stabilità – di un Grande Kurdistan, l’apporto del Kurdistan iraniano. Ma qui si è ormai cronicizzata una guerra permanente con i Pasdaran, che tengono la regione sotto una ferrea occupazione militare, ma vi soffrono pesanti sconfitte, ben rappresentate dalla morte di non pochi loro generali e alti ufficiali. Naturalmente, anche i peshmerga iraniani usano il Kurdistan iracheno come loro retroterra: altra buona ragione che rende l’appoggio occidentale a un ingresso dell’Iran nella crisi irachena del tutto sconsigliabile, oltre che assurdo.